L’orgoglio della regola e lo stato di eccezione. Il grattacielo Eurosky di Purini e Thermes
Alessandra Capuano
“Dalla terrazza di Rocca di Papa non si vedono grattacieli. Tranquilli.”1 Così introduceva “Scolpire i cieli” Antonino Terranova. Oggi, forse, da quella postazione si potrebbe anche riuscire a vederlo il grattacielo Eurosky, collocato a metà strada di una traiettoria quasi lineare che dai Colli Albani porta a Fregene, luogo citato anch’esso nel titolo del primo capitolo del libro e sul quale l’autore ironizza per la sua orizzontalità, alludendo a un famoso spot pubblicitario del Crodino dove il gorilla recitava in romanaccio “E andò lo trovo un grattacielo a Fregene?”.
I grattacieli erano diventati per Terranova una vera e propria ossessione negli studi degli ultimi anni.2 Ne aveva colto la singolarità, e pertanto il potenziale immaginifico, fantasioso e creativo, con le loro dismisure, sempre più sovraumane e mostruose nel Terzo Millennio, con le loro forme, spesso bizzarre e comunque riconoscibili. I grattacieli appartenevano pertanto al novero dei Mostri Metropolitani,3 ovvero quelle architetture che programmaticamente si staccano dall’ordinario dell’habitat per imporsi sul piano del Meraviglioso e del Sorprendente. Una dimensione ludica e giocosa necessaria nella forma della città che non può arrendersi, come già ricordava Colin Rowe,4 alle certezze scientifiche che la modernità ha prescritto, ma necessita di utopie e di quel grado di immaginario presente nelle vedute fantastiche di Canaletto e nelle reinvenzioni di paesaggi di Poussin.
È certamente una di queste icone scenografiche anche il grattacielo Eurosky, opera di Franco Purini e Laura Thermes, terminato nel 2013. Passeggiando nel parco dell’Appia Antica, che come è noto costituisce una enclave all’interno del denso tessuto urbano romano, Eurosky appare in lontananza, selezionato e inquadrato dietro al margine di vegetazione, quasi fosse la Tour Eiffel dall’attico Beistegui di Le Corbusier. Poche altre icone del moderno si vedono da questa enclave dell’Appia: il glorioso quartiere Tuscolano della modernità neorealista e la triste vela-rovina del modernocontemporaneo di Calatrava. Roma è lenta e arriva con ritardo ad aggiornare il suo palinsesto. Tra qualche giorno apre finalmente la stazione della Metro C di S. Giovanni, aggiungendo un piccolissimo, ma fondamentale tassello al progetto di rendere finalmente più pubblica e sostenibile la mobilità urbana. Un progetto di trasformazione che, iniziato con la giunta Rutelli e varato da quella Veltroni, sembra essere stato ora abbracciato anche dalla giunta Raggi che, dopo averlo osteggiato, lo fa proprio. Chissà che non si riesca ad avere anche la fermata metro ai Fori Imperiali, con relativo collegamento all’area archeologica. Per la metro come per i grattacieli basta pazientare.
Aspettando, nella capitale è arrivato infatti anche il grattacielo. E ora il cielo di Roma non è più scolpito solo dalle “cupole tra le nuvole”5 , ma lo skyscraper, che non a caso viene chiamato torre, si impone come il più alto edificio della città con i suoi 120 metri di altezza, raggiungendo i 155 mt. se si considera l’antenna. I progettisti fanno infatti esplicito riferimento alla tradizione locale delle torri medievali, che non erano presenti solo in città, ma anche in questo territorio a sud di essa, il “deserto del Lazio”, come diceva Quaroni, rimasto poco abitato fino all’espansione urbana degli anni settanta dello scorso secolo. Il richiamo non è proprio originale: risale infatti al 1957 la Torre Velasca di Milano con il suo esplicito linguaggio neomedievale. Il riferimento storico si giustifica però con l'esigenza di dover motivare la scelta per contrastare la perenne reticenza della cultura architettonica italiana nei confronti dei grattacieli. Il prevalere di questa visione ideologica e antimoderna ha sempre impedito di considerare questa tipologia di edifici come una possibile soluzione a diversi problemi ambientali, economici e sociali.
La torre svetta sullo skyline della capitale mostrando un “attacco al cielo”, come diciamo noi architetti, bizzarro, formato da un traliccio posto al centro di due grandi lastre rettangolari, superfici che da lontano divengono dei punti focali, una orizzontale e l’altra diagonale, introducendo un interessante marchingegno scenografico che movimenta la rigidità del parallelepipedo verticale. Un omaggio sul piano figurativo alle ricerche del costruttivismo russo e una intelligente soluzione mirata a integrare i pannelli fotovoltaici nella composizione architettonica, un tentativo che in Italia non è così frequente, anche se si può annoverare l’interessante precedente delle torri di Tarquinia di Portoghesi, seppur completamente diverso sul piano espressivo.
Sul piano del linguaggio il grattacielo Eurosky si pone in linea di continuità con la ricerca architettonica del duo romano. L’embrione tematico e figurativo dell’edificio è da relazionarsi con il Concorso INARCH/SIR “Proposte per una iniziativa di industrializzazione edilizia” del 19736 e appartiene in pieno alle sperimentazioni che Purini e Thermes hanno messo in campo sin dalla fine degli anni sessanta. Un registro formale che individua nelle configurazioni elementari e nei volumi primari l’ordinamento grammaticale e sintattico del progetto. La loro ricerca è animata dall’ambizione di misurarsi con la logica delle regole e con l’anonimato del linguaggio come carattere principale della modernità, con la continuità del pensiero razionale, soprattutto della cultura architettonica italiana, quella che a pochi metri dal sito dove sorge il grattacielo ha dato forma ad uno dei più significativi esempi di città moderna con il quartiere dell’EUR.
La torre di 35 piani, di cui 28 destinati alla residenza, presenta un grande atrio a quadrupla altezza che collega con le scale e gli ascensori, dove è collocata come spesso accade negli atrii delle palazzine romane, un’opera d’arte, in questo caso di Mimmo Paladino. Una loggia rettangolare rappresenta la “matrice genetica” del prospetto insieme a un grande taglio verticale che divide in due parti l’edificio e che si propone, analogamente alla Casa del Girasole di Moretti, come elemento di complessità e contraddizione,7 di dichiarata ambiguità. Una serie di servizi è disposta al piano terra e nei successivi due livelli e poi ancora al ventiduesimo e ventiquattresimo piano. Essi comprendono spazi collettivi per lo sport e una spa, una sala cinematografica, alcune sale comuni e un’area lounge. Grande importanza hanno rappresentato tutte quelle soluzioni che permettono all’edificio di essere classificato come “architettura sostenibile” e che, come abbiamo visto, hanno anche rappresentato spunti figurativi: la dotazione di pannelli fotovoltaici, la realizzazione dei giardini d’inverno presenti in ogni alloggio e collocati nel sistema delle logge intese come spazi polifunzionali profondi 4 metri, destinati a garantire il benessere termo igrometrico, dispositivi per il recupero dell’acqua piovana e un apparecchiatura pneumatica per la raccolta differenziata dei rifiuti. Il grattacielo poggia su un basamento artificiale che contiene un centro commerciale e costituisce il cuore degli spazi pubblici della centralità EUR Castellaccio.
Il grattacielo Eurosky non si pone nella competizione globale come un’inedita formazione architettonico-urbana, oggetto giocoso e bizzarro quasi fosse la figura di un Luna Park, quali sono molti dei grattacieli di ultima generazione, specialmente in Oriente o nel mondo arabo. Rimane invece con i piedi per terra a riaffermare l’importanza del landmark nella struttura urbana e la necessità di continuare a giocare con quell’instabile equilibrio rappresentato dall’orgoglio della regola e dallo stato di eccezione.
Note
1 A. Terranova, E dove lo trovo un grattacielo a Fregene, in L. Massidda (a cura), Scolpire i cieli. Scritti sui grattacieli moderni e contemporanei, Officina Edizioni, Roma 2006, p. 15. 2 Nell’arco di cinque anni Antonino Terranova pubblica tre volumi sui grattacieli. Oltre al già citato Scolpire i cieli del 2006, Grattacieli del 2003 e Nuovi Giganti del 2008 entrambi per i tipi della White Star 3 A. Terranova, Mostri Metropolitani, Meltemi, Roma 2001. 4 C. Rowe, F. Koetter, Collage City, MIT press, Boston 1978. 5 A. Terranova, Scolpire i cieli..., cit., p. 15. 6 F. Purini, Luogo e progetto, Presentazione di Francesco Moschini, edizioni Kappa, Roma 1981, p. 130. 7 Sulla dualità che suscita il taglio verticale della Casa del girasole di Moretti cfr. R. Venturi, Complexity and Contradiction in Architecture, The Museum of Modern art Papers on Architecture, New York 1966.
Alessandra Capuano
“Dalla terrazza di Rocca di Papa non si vedono grattacieli. Tranquilli.”1 Così introduceva “Scolpire i cieli” Antonino Terranova. Oggi, forse, da quella postazione si potrebbe anche riuscire a vederlo il grattacielo Eurosky, collocato a metà strada di una traiettoria quasi lineare che dai Colli Albani porta a Fregene, luogo citato anch’esso nel titolo del primo capitolo del libro e sul quale l’autore ironizza per la sua orizzontalità, alludendo a un famoso spot pubblicitario del Crodino dove il gorilla recitava in romanaccio “E andò lo trovo un grattacielo a Fregene?”.
I grattacieli erano diventati per Terranova una vera e propria ossessione negli studi degli ultimi anni.2 Ne aveva colto la singolarità, e pertanto il potenziale immaginifico, fantasioso e creativo, con le loro dismisure, sempre più sovraumane e mostruose nel Terzo Millennio, con le loro forme, spesso bizzarre e comunque riconoscibili. I grattacieli appartenevano pertanto al novero dei Mostri Metropolitani,3 ovvero quelle architetture che programmaticamente si staccano dall’ordinario dell’habitat per imporsi sul piano del Meraviglioso e del Sorprendente. Una dimensione ludica e giocosa necessaria nella forma della città che non può arrendersi, come già ricordava Colin Rowe,4 alle certezze scientifiche che la modernità ha prescritto, ma necessita di utopie e di quel grado di immaginario presente nelle vedute fantastiche di Canaletto e nelle reinvenzioni di paesaggi di Poussin.
È certamente una di queste icone scenografiche anche il grattacielo Eurosky, opera di Franco Purini e Laura Thermes, terminato nel 2013. Passeggiando nel parco dell’Appia Antica, che come è noto costituisce una enclave all’interno del denso tessuto urbano romano, Eurosky appare in lontananza, selezionato e inquadrato dietro al margine di vegetazione, quasi fosse la Tour Eiffel dall’attico Beistegui di Le Corbusier. Poche altre icone del moderno si vedono da questa enclave dell’Appia: il glorioso quartiere Tuscolano della modernità neorealista e la triste vela-rovina del modernocontemporaneo di Calatrava. Roma è lenta e arriva con ritardo ad aggiornare il suo palinsesto. Tra qualche giorno apre finalmente la stazione della Metro C di S. Giovanni, aggiungendo un piccolissimo, ma fondamentale tassello al progetto di rendere finalmente più pubblica e sostenibile la mobilità urbana. Un progetto di trasformazione che, iniziato con la giunta Rutelli e varato da quella Veltroni, sembra essere stato ora abbracciato anche dalla giunta Raggi che, dopo averlo osteggiato, lo fa proprio. Chissà che non si riesca ad avere anche la fermata metro ai Fori Imperiali, con relativo collegamento all’area archeologica. Per la metro come per i grattacieli basta pazientare.
Aspettando, nella capitale è arrivato infatti anche il grattacielo. E ora il cielo di Roma non è più scolpito solo dalle “cupole tra le nuvole”5 , ma lo skyscraper, che non a caso viene chiamato torre, si impone come il più alto edificio della città con i suoi 120 metri di altezza, raggiungendo i 155 mt. se si considera l’antenna. I progettisti fanno infatti esplicito riferimento alla tradizione locale delle torri medievali, che non erano presenti solo in città, ma anche in questo territorio a sud di essa, il “deserto del Lazio”, come diceva Quaroni, rimasto poco abitato fino all’espansione urbana degli anni settanta dello scorso secolo. Il richiamo non è proprio originale: risale infatti al 1957 la Torre Velasca di Milano con il suo esplicito linguaggio neomedievale. Il riferimento storico si giustifica però con l'esigenza di dover motivare la scelta per contrastare la perenne reticenza della cultura architettonica italiana nei confronti dei grattacieli. Il prevalere di questa visione ideologica e antimoderna ha sempre impedito di considerare questa tipologia di edifici come una possibile soluzione a diversi problemi ambientali, economici e sociali.
La torre svetta sullo skyline della capitale mostrando un “attacco al cielo”, come diciamo noi architetti, bizzarro, formato da un traliccio posto al centro di due grandi lastre rettangolari, superfici che da lontano divengono dei punti focali, una orizzontale e l’altra diagonale, introducendo un interessante marchingegno scenografico che movimenta la rigidità del parallelepipedo verticale. Un omaggio sul piano figurativo alle ricerche del costruttivismo russo e una intelligente soluzione mirata a integrare i pannelli fotovoltaici nella composizione architettonica, un tentativo che in Italia non è così frequente, anche se si può annoverare l’interessante precedente delle torri di Tarquinia di Portoghesi, seppur completamente diverso sul piano espressivo.
Sul piano del linguaggio il grattacielo Eurosky si pone in linea di continuità con la ricerca architettonica del duo romano. L’embrione tematico e figurativo dell’edificio è da relazionarsi con il Concorso INARCH/SIR “Proposte per una iniziativa di industrializzazione edilizia” del 19736 e appartiene in pieno alle sperimentazioni che Purini e Thermes hanno messo in campo sin dalla fine degli anni sessanta. Un registro formale che individua nelle configurazioni elementari e nei volumi primari l’ordinamento grammaticale e sintattico del progetto. La loro ricerca è animata dall’ambizione di misurarsi con la logica delle regole e con l’anonimato del linguaggio come carattere principale della modernità, con la continuità del pensiero razionale, soprattutto della cultura architettonica italiana, quella che a pochi metri dal sito dove sorge il grattacielo ha dato forma ad uno dei più significativi esempi di città moderna con il quartiere dell’EUR.
La torre di 35 piani, di cui 28 destinati alla residenza, presenta un grande atrio a quadrupla altezza che collega con le scale e gli ascensori, dove è collocata come spesso accade negli atrii delle palazzine romane, un’opera d’arte, in questo caso di Mimmo Paladino. Una loggia rettangolare rappresenta la “matrice genetica” del prospetto insieme a un grande taglio verticale che divide in due parti l’edificio e che si propone, analogamente alla Casa del Girasole di Moretti, come elemento di complessità e contraddizione,7 di dichiarata ambiguità. Una serie di servizi è disposta al piano terra e nei successivi due livelli e poi ancora al ventiduesimo e ventiquattresimo piano. Essi comprendono spazi collettivi per lo sport e una spa, una sala cinematografica, alcune sale comuni e un’area lounge. Grande importanza hanno rappresentato tutte quelle soluzioni che permettono all’edificio di essere classificato come “architettura sostenibile” e che, come abbiamo visto, hanno anche rappresentato spunti figurativi: la dotazione di pannelli fotovoltaici, la realizzazione dei giardini d’inverno presenti in ogni alloggio e collocati nel sistema delle logge intese come spazi polifunzionali profondi 4 metri, destinati a garantire il benessere termo igrometrico, dispositivi per il recupero dell’acqua piovana e un apparecchiatura pneumatica per la raccolta differenziata dei rifiuti. Il grattacielo poggia su un basamento artificiale che contiene un centro commerciale e costituisce il cuore degli spazi pubblici della centralità EUR Castellaccio.
Il grattacielo Eurosky non si pone nella competizione globale come un’inedita formazione architettonico-urbana, oggetto giocoso e bizzarro quasi fosse la figura di un Luna Park, quali sono molti dei grattacieli di ultima generazione, specialmente in Oriente o nel mondo arabo. Rimane invece con i piedi per terra a riaffermare l’importanza del landmark nella struttura urbana e la necessità di continuare a giocare con quell’instabile equilibrio rappresentato dall’orgoglio della regola e dallo stato di eccezione.
Note
1 A. Terranova, E dove lo trovo un grattacielo a Fregene, in L. Massidda (a cura), Scolpire i cieli. Scritti sui grattacieli moderni e contemporanei, Officina Edizioni, Roma 2006, p. 15.
2 Nell’arco di cinque anni Antonino Terranova pubblica tre volumi sui grattacieli. Oltre al già citato Scolpire i cieli del 2006, Grattacieli del 2003 e Nuovi Giganti del 2008 entrambi per i tipi della White Star
3 A. Terranova, Mostri Metropolitani, Meltemi, Roma 2001.
4 C. Rowe, F. Koetter, Collage City, MIT press, Boston 1978.
5 A. Terranova, Scolpire i cieli..., cit., p. 15.
6 F. Purini, Luogo e progetto, Presentazione di Francesco Moschini, edizioni Kappa, Roma 1981, p. 130.
7 Sulla dualità che suscita il taglio verticale della Casa del girasole di Moretti cfr. R. Venturi, Complexity and Contradiction in Architecture, The Museum of Modern art Papers on Architecture, New York 1966.
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