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La nazione delle piante

Carles Muro

Abstract

Il lavoro di Enrico Molteni si fonda principalmente sul tema della geometria e delle sue possibili variazioni, riconoscendo nella pianta il naturale meccanismo di controllo per l’architetto. Prendendo in esame tre suoi progetti residenziali -la casa a Barlassina, la casa a Casatenovo e la casa a Zagarolo- è possibile dimostrare il suo metodo, ed individuare quelle chiavi di lettura che rimandano inevitabilmente allo studio delle forme archetipiche e mono-materiche, nonché il riconoscimento di quelle figure del panorama architettonico che hanno influenzato la sua formazione.

Enrico Molteni's work is grounded mainly on the theme of geometry and its possibilities variations, recognizing in the plan the natural control mechanism for the architect. Looking at three his residential projects the house a Berlassina, the house in Casatenovo and the house in Zagarolo -it is possible to consider his method, and identify those reading keys that refer inevitably to the study of forms architectural and monomaterial, as well as the recognition of those figures of architectural panorama they have influenced his training.

Keywords

Geometria, pianta, archetipi, formazione, riferimenti

"Mi piace comportarmi come un atleta in una staffetta: prendere il "testimone" mi sembra il punto più alto di originalità" 1

Francesco Venezia

Si potrebbe dire che Enrico Molteni si trovi in uno di quei momenti di passaggio come quando il testimone cambia di mano in una staffetta. Però, in questo caso, non si tratterebbe di prendere il testimone da Kahn, Lewerentz o Siza, secondo la suggestiva immagine che ci propone Francesco Venezia, ma di prenderlo da sé stesso.
Dopo circa venti anni di collaborazione professionale con Andrea Liverani ha ora iniziato una nuova tappa indipendente e, dall’altro lato – dopo una più breve, ma analogamente intensa, esperienza didattica all'Accademia di Architettura di Mendrisio – si è da poco incorporato come ricercatore presso l’Università degli Studi di Genova.
In questo momento di cambiamento, appena compiuti i cinquant’anni, mi sembra opportuno riflettere brevemente sul percorso realizzato finora e ricordare alcuni dei suoi compagni di viaggio. Enrico Molteni inizia la sua formazione come architetto al Politecnico di Milano, alla fine degli anni Ottanta. Come lui stesso afferma nell’intervista che accompagna queste note, il primo riferimento importante fu Louis I. Kahn, di cui conosce il lavoro durante il primo anno2.
A partire da quell’incontro inizia a conoscere una serie di luoghi e architetti che andranno a costruire il suo particolare itinerario di apprendimento. Una seconda tappa di questo suo percorso è la città di Aarhus, dove oltre all’inevitabile incontro con Arne Jacobsen, autore del municipio della stessa città, ha un primo contatto con l’architettura scandinava nel senso più ampio della parola. E, tra gli architetti scandinavi, la figura di Sigurd Lewerentz andrà un po' alla volta a costituire un altro riferimento solido e costante. La terza tappa lo porterà, già come architetto, nella città di Barcellona, per lavorare nello studio di José Antonio Martínez Lapeña e Elías Torres. Oltre alla figura carismatica di Elías Torres, che segnerà i successivi passi di Molteni, scopre l’architettura catalana degli anni Cinquanta e Sessanta. Una architettura che, come in un gioco di specchi, si nutre principalmente dell’opera dei maestri scandinavi e dei grandi architetti moderni milanesi. Inoltre, sempre a Barcellona, inizia il suo intenso studio dell’opera di Álvaro Siza, prima centrato sul quartiere Malagueira a Évora, e in un secondo momento su tutte le case unifamiliari3.
Milano, origine e riferimento permanente, si tesse di una serie di fili conosciuti in ciascuna delle tappe della formazione: Louis I. Kahn, la Scandinavia, gli anni di Barcellona, Álvaro Siza, la Svizzera e i viaggi di studio di Mendrisio riappaiono, in modo più o meno evidente, nel lavoro di Enrico Molteni.
Dopo la consueta introduzione, il libro che raccoglie la ricerca di Enrico Molteni sulle case di Álvaro Siza4 si apre con una doppia pagina in cui appaiono 34 case progettate da Siza -sia costruite che non- disegnate in pianta alla stessa scala e con lo stesso criterio grafico che comprende, oltre alla posizione del nord geografico, la definizione del perimetro del terreno e la presenza di costruzioni preesistenti. Non si tratta di una tassonomia, ma piuttosto di una collazione. Molteni riunisce in un unico documento, ridisegnato con rigore e precisione, la totalità delle case di Siza. Questo documento costituisce la prima delle diverse collazioni di architetture che riunirà lungo il suo percorso professionale e pedagogico.
Così, quando viene invitato dagli editori di San Rocco a far parte della Biennale di Venezia del 2012, nell’ambito del progetto "Book of Copies", si sarà sentito a suo agio nella ricerca, in libri e riviste, di una collazione di Piramidi. Una collazione che contiene esempi – costruiti e non – di tutti i luoghi e le epoche possibili.
Queste collazioni o famiglie di progetti – che sono anche strumenti per definire un proprio sguardo e un modo di lavorare – si trasformano, portati nell’ambito accademico, in cicli didattici. In questo ambito più recente della sua attività, ha già sviluppato un primo ciclo completo, all’Accademia di Mendrisio, tra il 2013 e il 2016. Come se si trattasse delle variazioni su uno stesso tema, ciascuno dei corsi del ciclo possedeva una coerenza interna e, al contempo, si rifaceva ad un’entità maggiore. Sapendo che si sarebbe trattato di un incarico di quattro anni, utilizzò come struttura primaria i quattro elementi della natura – terra, aria, fuoco, acqua – ma anche i quattro elementi dell’architettura di Gottfried Semper, e quattro – il muro, la finestra, il camino e il tetto – dei quindici Elements proposti da Rem Koolhaas per la Biennale di Venezia del 2014, esplorati attraverso un esaustivo inventario di esempi. A partire da questi elementi e altri ingredienti contingenti, gli studenti costruirono le proprie famiglie di progetti.
Recentemente arrivato a Genova, e con l’incarico di sviluppare un programma triennale per il primo anno, ha proposto un ciclo di tre corsi centrato sulle tre figure geometriche di base: quadrato, cerchio e triangolo. Con il "testimone" preso dalle mani di Bruno Munari, altro grande collezionista di immagini, ha già iniziato a lavorare sul quadrato e, naturalmente, sul rigore associato al disegno di piante quadrate.
É la pianta ciò che, per Enrico Molteni, contiene un’idea di architettura allo stato puro. La pianta come strumento di controllo rigoroso della geometria. Sappiamo però che la relazione tra pianta e architettura non è biunivoca e che la pianta può essere intesa anche come un sistema di notazione che, senza diminuire la sua precisione e rigore, contiene molte e diverse possibili architetture.
In una conferenza recentemente tenuta al MACRO5, Enrico Molteni ha presentato il lavoro del suo studio attraverso le piante di dodici progetti attentamente scelti. Questa presentazione costituisce una sorta di manifesto, di dichiarazione d’intenti: la geometria, come in Louis I. Kahn, come ultima dimora dell’architettura e la pianta come suo naturale meccanismo di controllo.
Nel suo ultimo libro, Stefano Mancuso si avvicina alle piante “come se facessero parte di una nazione, ossia di una comunità di individui che condivide l'origine, i costumi, la storia, le organizzazioni e le finalità: la Nazione delle Piante"6. Sono convinto che Enrico Molteni condividerebbe con entusiasmo questa visione, trasposta dal mondo vegetale al mondo dell'architettura.
Tra i molti progetti realizzati da Enrico Molteni, mi vorrei concentrare brevemente su tre di questi che costituiscono, a mio parere, il nucleo del suo "laboratorio delle case"7. Si tratta della casa a Barlassina (2000-2003), la casa a Casatenovo (2007-2011) e la casa a Zagarolo (2012-2014).
Queste tre case, oltre al rigore della pianta, condividono anche un riferimento alla forma archetipica della casa con copertura a falde. Tuttavia, ciò che le rende singolari, a mio parere, è che ciascuna di esse aspira a costruire un involucro unitario senza distinzione tra copertura e muro: case di un unico materiale.
Con la casa a Barlassina ha inizio questo breve ciclo di ricerca sulla casa monomaterica. Il progetto nasce da due rombi identici in pianta: uno contiene la zona giorno e l’altro, naturalmente, la zona notte. In questo caso non c’è dubbio sul passaggio di "testimone" preso dalle mani di Kahn e, in particolare, dalla straordinaria pianta della casa Fisher. Ma, a differenza della pianta di Kahn – che si genera dall’incastro di due rettangoli e che produce, come effetto secondario, angoli acuti tra i volumi – l’uso della figura romboidale permette che i volumi della casa a Barlassina si uniscano formando angoli retti, generando così un patio virtuale di matrice quadrata, intorno ad un albero. Questo patio è definito per due lati dalla casa e, per il terzo lato, da una pergola con il tavolo all’aperto.
Ciascuno dei due volumi che formano la casa ha una copertura a doppia falda; queste producono una certa ambiguità di matrice venturiana che inducono a domandarci se ci troviamo di fronte ad una o a due case. La decisione di utilizzare un unico materiale, un listello di mattone rosso, per tutto l’involucro, mantiene viva questa condizione ambigua del progetto. E, nel momento della materializzazione dell’opera, si raccoglie il “testimone”, questa volta più prossimo, dalla mano di Marco Zanuso e dalla sua casa R a Casorate Sempione. A differenza di Zanuso, che dispone i mattoni della copertura parallelamente al suolo – a formare un piano scalonato, come se si trattasse di una piccola ziggurat - nella casa a Barlassina i listelli di mattone sono collocati sopra alla soletta di copertura inclinata, dando una maggior continuità tra i piani dell’involucro. Dato che si tratta di listelli di rivestimento (di 5 x 5 cm di sezione) e non di mattone portante, si sopprime anche il giunto, rinforzando la continuità del materiale e dando maggior limpidezza alla superficie. La posizione della gronda metallica ritorna comunque a disegnare la linea di incontro tra copertura e muro.
Una prima versione del progetto della casa a Casatenovo partiva da una pianta quadrata con una copertura a quattro falde, di cui si erano sottratti dei frammenti dal perimetro, che produceva una serie di angoli differenti nel coronamento dei muri verticali per offrire così una immagine attraente e complessa. Il cliente, un regista cinematografico, aveva chiesto una casa con due nuclei indipendenti di camere – uno per sé stesso e l’altro per la famiglia di sua sorella – e uno spazio centrale come luogo di incontro comune. La proposta realizzata consiste in una pianta a croce, con quattro bracci di lunghezza e larghezza diverse. I due più larghi contengono le zone notte, mentre gli altri due ospitano rispettivamente la cucina – con un portico che definisce una zona pranzo esterna – e uno spazio di ingresso. Tra lo spazio centrale e ciascuno dei bracci delle camere si dispone una fascia con bagni e servizi che creano una soglia tra la zona più pubblica e quella più privata. Se nel progetto iniziale, che operava per sottrazione, lo spazio centrale si manteneva costante, nella versione costruita, che opera per addizione, sembrerebbe che tale spazio sia definito solo dalla tensione prodotta dalla presenza di ciascuno dei bracci. Questo spazio possiede, a mio parere, una chiara vocazione di spazio esterno coperto, come se si trattasse di una versione contemporanea del patio. La casa ha una copertura unica a due falde lievemente inclinate. La scelta di un rivestimento continuo, con una guaina liquida impermeabilizzante finita a resina, sia per i muri che per la copertura, conferisce una condizione potente di oggetto astratto su cui solo il tempo, con il suo trascorrere, potrà depositare la propria impronta.
La casa a Zagarolo ci offre una terza variazione sul tema e, forse, la più archetipica di tutte. In questo caso, si tratta di una architettura di pianta quadrata con una smisurata copertura a due falde. La decisione di rivestire tutto, pareti e tetto, con blocchi di tufo locale di 25 cm di spessore, ci offre la suggestiva immagine di una solida massa di pietra a cui si è operata una precisa incisione che articola la relazione tra la sala e la zona pranzo. L’esterno monolitico, che evoca alcuni progetti di Herzog & de Meuron, contrasta con una costruzione dello spazio interno che sembra raccogliere il difficile "testimone" dell’architettura domestica di Kazuo Shinohara.
Purtroppo, a differenza dei precedenti, quest’ultimo progetto non è stato realizzato, ma nuovi membri si stanno già incorporando a questa famiglia e ad altre famiglie di progetti, tanto nel lavoro professionale come nell’attività didattica di Enrico Molteni. E, ci auguriamo, si sommino presto molte altre collazioni di architettura, con la passione e l’intensità che hanno caratterizzato dall’inizio la sua traiettoria di architetto.

Immagine: Enrico Molteni, La nazione delle piante. 50 anni, disegno, 2020

Note

1 Francesco Venezia, 100 giorni a Mendrisio, in Marco Della Torre, Bruno Pedretti (a cura), Francesco Venezia, Mendrisio Academy Press / Silvana Editoriale, Mendrisio / Cinisello Balsamo 2015, p. 17 .
2 Nella conversazione tenutasi lo scorso 31 ottobre 2019 a Casatenovo con Anna Rita Emili e Ludovico Romagni, Enrico Molteni ci parla dell'importanza che ebbe per lui la scoperta dell'opera di Kahn. È opportuno ricordare che Louis I. Kahn, onorando la massima che afferma come la vita di un architetto inizi a 50 anni, riceve l'incarico di costruire la Galleria d'Arte dell'Università di Yale – opera che lo farà diventare il Louis I. Kahn che tutti conosciamo – nel gennaio 1951, quando si trovava all'Accademia Americana di Roma, giusto prima di compiere i suoi 50 anni.
3 Come risultato di queste ricerche vengono pubblicati due libri sulla Malagueira: Álvaro Siza, Barrio de la Malagueira, Évora, Edicions UPC, Barcellona 1997; e Álvaro Siza, La Malagueira a Évora, Edicom, Monfalcone 2000. Inoltre, viene pubblicato anche un libro sulle case di Siza basato sulla sua tesi di dottorato, "Álvaro Siza: Il laboratorio delle case", letta presso la UPC nel gennaio 2005.
4 Alessandra Cianchetta, Enrico Molteni, Álvaro Siza. Case 1954-2004, Skira, Milano 2004, pp. 18-19.
5 MACRO (Museo d'Arte Contemporanea Roma), 16 novembre 2019.
6 Stefano Mancuso, La Nazione delle Piante, Laterza, Bari 2019, p. 9.
Quando Stefano Mancuso – direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale (LINV) dell'Università degli Studi di Firenze – parla delle piante, si riferisce ovviamente a quelle del mondo vegetale. Ma molte delle affermazioni che porta nel suo libro potrebbero sorprendentemente essere applicate anche alle piante architettoniche. Sarebbe interessante iniziare a pensare a una Nazione delle Piante Architettoniche e stabilire condizioni rigorose per ottenere la cittadinanza.
7 Lascio per un'occasione futura l'esame dei progetti pubblici e delle moltissime proposte di concorso realizzate da Enrico Molteni. Vorrei comunque ricordare che, anche in quei progetti, la pianta è di norma l'elemento generatore dell'architettura. Come nel Canile Municipale di Monza, in cui quattro elementi a croce greca organizzati intorno ad un quadrato si muovono con precisione, analogamente ai diversi corpi del progetto di Luis I. Kahn per il convento delle monache domenicane. O ancora come nel progetto recente per una scuola a L'Aquila, in cui lo stesso ordine additivo viene utilizzato, in questo caso, per disporre sul terreno una famiglia di cerchi che organizzano il programma didattico e, al contempo, gli spazi esterni.

Bibliografia

- Cianchetta Alessandra, Molteni Enrico, Álvaro Siza. Case 1954-2004, Skira, Milano 2004
- Della Torre Marco, Pedretti Bruno, Francesco Venezia, Mendrisio Academy Press / Silvana Editoriale, Mendrisio / Cinisello Balsamo 2015
- Mancuso Stefano, La Nazione delle Piante, Laterza, Bari 2019
- Molteni Enrico, Álvaro Siza. Barrio de la Malagueira. Évora, Edicions UPC, Barcellona 1997
- Siza Álvaro, La Malagueira a Évora, in Molteni Enrico (a cura), Edicom, Monfalcone 2000

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