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L’architettura come l’arte di progettare cosa costruire. Il contributo di Pepe Barbieri

Abstract

La figura di Pepe Barbieri si colloca all’interno di un contesto culturale che intende il progetto come atto riflessivo e prodotto di ricerca che genera conoscenza e valori contestuali. Il saggio ripercorre le tappe più significative del percorso di ricerca di Pepe Barbieri nella scuola di Pescara sottolineando, in particolare, il suo contributo rilevante al dibattito sul rapporto piano-progetto e sul ruolo del progetto integrato nei processi multiscalari di trasformazione della città contemporanea.

The figure of Pepe Barbieri is placed within a cultural context that sees the project as a reflective act and a research product that generates knowledge and contextual values. The essay retraces the most significant stages of Pepe Barbieri's research path in the Pescara school, underlining, in particular, his significant contribution to the debate on the plan-project relationship and on the role of the integrated project in the multiscalar transformation processes of the contemporary city.

Keywords

piano-progetto, tempo-spazio, forma-processo, geo-città

Nicola Di Battista sulle pagine di Domus propone di ribaltare la definizione vitruviana che vede l’architettura come Arte del costruire, a favore di un’altra in cui l’architettura, ponendosi al servizio dei bisogni dell’uomo, coincida con il progetto, cioè con l’idea di come gli uomini possano abitare meglio la propria terra. L’architettura è quindi l’Arte di progettare cosa costruire; è il pensiero critico che orienta l’azione sulla quale si basa la futura realizzazione. Per sottolineare il valore fondativo dell’idea progettuale egli aggiunge: “(…) stiamo sostenendo che in architettura il vero luogo del suo essere, lo troviamo nel progetto, più che nella costruzione; l’architettonico è tutto racchiuso nel progetto, che immagina, concepisce e precede l’esecuzione dell’opera.” (N. Di Battista 2015)vAll’interno di questa ampia prospettiva culturale può essere collocata la figura di Pepe Barberi per cui il progetto è atto di “apprendimento riflessivo” (D. Shon, 1999); un prodotto di ricerca che genera conoscenza e valori contestuali. Sarebbe errato tentare di separare la sua riflessione teorica dalla sperimentazione empirica.
I nostri percorsi disciplinari si sono incrociati nel Dipartimento di Architettura e Urbanistica di Pescara (DAU) rinominato, dopo l’ultima riforma universitaria (2010), Dipartimento di Architettura (DdA). La scuola di Pescara; a partire dagli anni Ottanta, ha svolto un ruolo chiave nel dibattito disciplinare e nella formazione di numerosi architetti e giovani ricercatori. Con Pepe abbiamo presto condiviso un orientamento culturale che ha posto al centro dei nostri rispettivi campi di lavoro (il progetto urbanistico e la composizione architettonica e urbana) una nozione di progetto spogliata di ogni aggettivazione di luogo e di requisito funzionale (urbano, architettonico, ambientale, di paesaggio, di infrastruttura o di opera pubblica). Più in generale abbiamo condiviso l’attenzione ai valori di una cultura del progetto che, in aperta contrapposizione alle pratiche allusive e iconiche, si fa carico di una responsabilità etica e sociale dell’atto progettuale (H. Jonas, 1979). La consapevolezza dell’irriducibile indeterminatezza e frammentazione dei fenomeni territoriali, conduce a tematizzare il progetto adattivo, ambiguo cioè aperto alle molteplici probabilità narrative di un contesto. Barbieri, riprendendo il pensiero di Giancarlo De Carlo, si sofferma sulla nozione di progetto tentativo (P. Barbieri 2015), quest’ultimo inteso come processo di montaggio/smontaggio che segue un metodo abduttivo e che traguarda una visione di futuro con l’obiettivo di costruire un ambiente più adeguato alla vita delle comunità che abitano e costruiscono la città contemporanea (R. Sennet, 2018). Il suo lavoro ha una specificità collocandosi ai margini dei propri recinti disciplinari. I confini appaiono tuttavia come frontiere entro cui prende corpo un’esperienza progettuale ibrida, costantemente contaminata da altri saperi, in particolare la musica, l’arte e la filosofia.
La ricerca delle molteplici relazioni con il contesto restituiscono la complessità spazio-temporale della città contemporanea. Il valore transcalare del progetto non riguarda, quindi, i suoi contenuti metrici (la multiscalarità), quanto l’attitudine a dialogare, attraverso la forma dell’architettura, con i molteplici punti di vista e piani di azione entro cui si forma l’identità topologica e relazionale di ogni contesto di intervento. I temi della multidimensionalità e della transcalarità dell’azione progettuale, spesso indagati nella riflessione teorica (P. Barbieri 1999, 2009, 2004, 2015), hanno trovato un esemplare campo di sperimentazione in numerosi progetti di paesaggio e di in­frastrutture, tra cui: il Piano del porto (2008) e la riqualificazione dell’asse attrezzato di Pescara (2006), la riorganizzazione morfologica degli spazi associati alle SS.16 adriatica (2009), la rigenerazione urbana e territoriale del riverfront del Madgalena in Colombia (2008) e del waterfront di Corinto in Grecia (2010). Nella rilettura della sua articolata esperienza di ricerca, una riflessione merita il rapporto dell’architettura con l’urbanistica e il progetto di territorio. La fertilità di tale interferenza disciplinare ha qualificato per oltre un ventennio i percorsi di studio e di ricerca della scuola di Pescara. Si inserisce in questo contesto il dibattito sulla dialettica piano-progetto attraverso il quale Pepe Barbieri mette a fuoco alcuni temi chiave della sua ricerca interdisciplinare: il progetto come modificazione critica dell’esistente, la città come geografia estesa e multipolare, il paesaggio come luogo di ricomposizione tra spazio costruito (urbs) e comunità insediate (civitas), il progetto integrato delle reti infrastrutturali nella riorganizzazione dei territori urbani contemporanei. Gli approfondimenti progettuali nell’ambito dei percorsi di laurea e dottorali, dei concorsi di progettazione e dell’attività della terza missione, evidenziano un’attenzione costante ai caratteri topografici del sito, alla morfologia della città esistente, alle infrastrutture della mobilità, al progetto degli spazi aperti associati alle reti della sostenibilità (in particolare acqua, energia, verde), ai cicli di vita dei metabolismi urbani sempre più compromessi da modelli di crescita incuranti degli equilibri geo-ambientali. I temi della fragilità e della sicurezza ambientale hanno caratterizzano la ricerca applicata degli anni più recenti in relazione alla crisi ambientale e all’emergenza della nuova questione urbana (B. Secchi 2018). Sarebbe arduo sviluppare, in questa sede, l’analisi di una stagione culturalmente cosi intensa che ha visto la scuola di Pescara protagonista del più ampio dibattito scientifico a livello nazionale e internazionale. Si collocano in questa densa stagione di riflessione critica alcune significative esperienze sul campo che hanno consentito di ridefinire gli approcci concettuali e le strumentazioni disciplinari. In particolare: i Progetti di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) coordinati da Pepe Barbieri, In.Fra (Forme Insediative e Infrastrutture, 1999-2003) e OP_Adriatico (Opere pubbliche e città adriatica, 2004-2006); le collaborazioni interistituzionali con: il Ministero dei Trasporti-Anas, Master plan per l’adeguamento della SS.16 adriatica nei territori di Marche, Abruzzo, Molise e Puglia (2008-2009); la Struttura Tecnica di Missione, per i Piani di ricostruzione di alcuni comuni abruzzesi colpiti dal sisma del 2009; il comune di Corinto per i programmi di rigenerazione urbana e territoriale. La città adriatica ha rappresentato spesso il banco di prova delle ipotesi di ricerca, ma anche, la cartina di tornasole per indagare i processi di metropolizzazione che investono i territori urbani estesi (endless cities) in Europa e nel mondo. Nella città adriatica, come nella città analoga, si giustappongono geografie e contesti paesaggistici, tempi e ritmi di vita che rimandano ad altre città, altre metropoli piccole disseminate sul nostro territorio nazionale e sulla superficie del nostro pianeta (P. Barbieri 1999). La città adriatica è per Barbieri una geo-città. Tale nozione, introdotta da Manuel Gausa per identificare la dimensione geografica della metropoli costiera catalana (M. Gausa 2009), viene approfondita da Barbieri (Prin, OP_Adriatico, 2004/2006) per descrivere le inedite configurazioni urbane che nascono dalla combinazione tra geografie dello spazio stratificato localmente (i luoghi) e nuovi assetti dell’organizzazione a rete dei processi e dei flussi che innervano la società e l’economia contemporanea (le reti). La geo-città è quindi la forma della città che si origina dall’intreccio tra lo spazio dei luoghi e lo spazio dei flussi (M. Castells 2004) e che richiede innovative capacità di governo e di pre-figurazione. In questa prospettiva il tema della forma è rilevante; Barbieri ne assume la polisemia e la trans-culturalità valorizzandone il carattere metamorfico, dinamico e processuale (D. Formaggio 1990). Tramite l’uso esplorativo della forma può realizzarsi un rapporto più fertile piano-progetto che tenti di superare da un lato, la sostanziale inefficacia dell’attuale piano urbanistico, dall’altro, l’atavica autoreferenzialità del progetto di architettura. A proposito del rapporto tra norma, forma e progetto, egli scrive:
“(…) in un percorso dialogico condotto in base ad approcci strategici la norma non descriverà l’oggetto, quanto i procedimenti per definirlo e i criteri delle relazioni tra i diversi oggetti (…) il percorso dialogico prevede modalità circolari. Per definire norme processuali (…) occorre che alcune modalità di elaborazione progettuale precedano la definizione delle norme per esplorarne i contorni, le potenzialità, per suscitare la domanda degli esiti possibili. Il percorso diviene, quindi: da forma a norma e, di nuovo, a forma/forme”. (P. Barberi 2015) La forma è quindi un dispositivo di controllo della qualità dell’intero processo progettuale; non è l’esito o la conclusione di una sequenza di decisioni, bensì il loro inizio e anticipazione. E’ (la forma) uno strumento attraverso il quale attivare i processi, permettendo ai diversi soggetti e attori di prendere posizione con la consapevolezza dei valori di senso in gioco; delle opportunità che l’utilizzazione della stessa forma può generare contribuendo alla qualità complessiva dell’abitare (P. Barberi 2015)Com’è noto, i temi della forma e della dialettica piano-progetto hanno segnato il dibattito disciplinare degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso sulle pagine di Casabella (1982-1996), nei piani e nei progetti di alcuni importanti interpreti della cultura progettuale di quegli anni (Secchi, Gregotti, Campos Venuti). Va sottolineato, tuttavia, l’avanzamento dell’attuale trattazione rispetto alle esperienze dell’urbanistica riformista (G. Campos Venuti 2010). Mentre il Piano disegnato affidava alla forma del progetto urbano il compito di definire le qualità morfologiche delle aree di trasformazione strategica della città, la forma nel/del piano-progetto della città delle reti consente di delineare le strategie e i temi rilevanti delle trasformazioni auspicate, mantenendo sempre aperta la risoluzione della dialettica tra spazialità e scale diverse. La forma non coincide quindi con la figura o con l’immagine statica; al contrario, va intesa come un dispositivo euristico che interroga il contesto e ne consente l’adattamento flessibile ai probabili scenari di trasformazione. Tale nozione evolutiva e strategica della forma intercetta i nuovi temi della ricerca scientifica sulla resilienza, rigenerazione ecologica-ambientale, sicurezza e vulnerabilità ambientale dei sistemi urbani e territoriali. Alcuni esempi esplorano le potenzialità morfogenetiche della forma urbana nel dare risposta adattiva ai rischi associati ai disastri naturali: Boston (Columbia point, 2014), New York (Lower Manhattan, 2014), Costitution (2010, waterfront boschivo) in Cile ma anche Rotterdam, Anversa, Amburgo e Copenaghen. Ciò che cambia nei progetti environmental led è: i) la razionalità complessiva dell’intervento ii) il rapporto tra strategie di lungo periodo (piano) e tattiche di breve termine (progetti); iii) la rappresentanza e la rappresentazione dei progetti. La natura ambigua e temporale del progetto tentativo (P. Barberi 2015) produce una inversione del rapporto tra conoscenza e decisione: la conoscenza viene prodotta dall’azione; il progetto accompagna i processi piuttosto che anticiparli; è tattico, nel senso che produce sapere e orienta la decisione. Riflettere sul tempo significa rimettere in gioco il tema della forma e dell’unità piano-progetto. Il tempo è per natura transdisciplinare e plurimo (F. Jullien, 2002): è quello della legacy dei processi di rigenerazione; dell’attesa legata alla probabilità degli eventi; è il tempo nullo dell’immanente presente (C. Rovelli 2017); è il tempo lento dei processi naturali; ma è anche il tempo provvisorio delle risposte immediate all’emergenza post-crisi che costringono a ripensare i caratteri di fissità e di permanenza della città contemporanea.
Pepe Barbieri, ricordando Giacomo Marramao (1990), ci suggerisce un orientamento concettuale: “Se (…) uniamo il termine tempus al termine spatium - in quanto ritaglio che indica la costitutiva precarietà e instabilità di ogni dimora - dobbiamo apprendere come saper abitare il mondo, abitandone il tempo, nella ineliminabile tensione tra cosmopolitismo e radicamento, con la consapevolezza della necessità di un arretramento degli strumenti di un supposto integrale controllo pianificato a favore di processi di dialogo ed interazione che apra, nel “giardino planetario”, all’azione fruttuosa del tempo nel produrre l’inatteso, l’innovazione, la fertile diversità” (P. Barbieri 2018). Il tempo, dunque, e non solo lo spazio, diventa il materiale del progetto. Si tratta, come sempre, di sperimentare e di progettare.

Bibliografia

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- Barbieri Pepe (a cura), Infraspazi, Meltemi, Roma 2004.
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- Barbieri Pepe, Geo-Città: In che modo, oggi, si abita, nello stesso tempo, il ”luogo” e il “mondo”, List, Trento 2015.
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- Bonfantini Massimo A., et al. (a cura), Su Peirce. Interpretazioni, ricerche, prospettive, Bompiani, Milano 2015.
- Campos Venuti Giuseppe, La città senza cultura. Intervista sull’urbanistica. Laterza, Roma-Bari 2010.
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- De Carlo Giancarlo, Questioni di architettura e urbanistica, Maggioli, Bologna 2008.
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- Jullien François, Il tempo. Elementi di una filosofia del vivere, Luca Sossella editore, Roma 2002.
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- Schon Donald A. , Il professionista riflessivo: per una nuova epistemologia della pratica professionale, Dedalo, Bari 1999.
- Secchi Bernardo, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Bari-Roma 2018.
- Sennet Richard, Costruire e Abitare. Etica per la città, Feltrinelli, Bologna 2018.

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