Paolo Portoghesi

Manuel Orazi Marco Vanucci

Abstract

Il testo ripercorre per punti le tappe fondamentali del percorso intellettuale e di vita di Paolo Portoghesi, dalla sua giovinezza e da quei momenti nella città di Roma in cui apprende le lezioni del Barocco attraverso la figura di Borromini, fino alle sue recenti esperienze e al suo ritiro nel borgo di Calcata, a stretto contatto con la natura. Nell’argomentazione si apprendono i riferimenti dell’architetto, sia quelli storici che quelli a lui contemporanei, quindi le sue amicizie, i principali incarichi professionali e istituzionali, le principali teorie a cui si è dedicato, e l’attuale interesse verso quella disciplina architettonica che lui definisce “geoarchitettura”.

The text consider the points of the fundamental stages of the intellectual journey and life of Paolo Portoghesi, from his youth and those moments in the city of Rome in which he learns the lessons of the Baroque through the figure of Borromini, until his recent experiences and his retirement in the village of Calcata, in close contact with nature. In the article we learn the references of the architect, both historical and those to him contemporaries, then his friendships, the main professional and institutional positions, the principal theories to which he has dedicated himself, and the current interest in that architectural discipline that he calls "geoarchitecture".

Keywords

Portoghesi, Borromini, Teoria dei campi, Biennale, Geoarchitettura

Paolo Portoghesi nasce a Roma nel 1931 in via Monterone, a pochi passi da piazza dei Caprettari e piazza Sant’Eustacchio. Da qui, attraversando la piazza per andare a scuola, il giovane Portoghesi scruta quotidianamente la cupola di Sant’Ivo alla Sapienza, un’opera che lo interrogherà e a cui rimarrà legato per il resto della sua vita. Quell’edificio, realizzato da Borromini tra il 1642 e il 1660, assieme all’Oratorio dei Filippini che si trova a due passi da casa dei suoi nonni, in piazza della Chiesa Nuova, esercita su Portoghesi un fascino che segnerà tutta la sua carriera di architetto e di intellettuale. L’architetto ticinese entra dunque a far parte dell’immaginario di Paolo Portoghesi sin dalla giovane età. Le sue opere diverranno un “problema” a cui Portoghesi dedicherà studio e approfondimenti. A soli 16 anni scrive il suo primo libretto dedicato a Francesco Borromini: battuto a macchina, stampato in pochissime copie e distribuito agli amici più intimi. È il primo atto d’amore per una figura a cui, in seguito, dedicherà numerosi libri fino a diventare il maggiore storiografo del grande architetto barocco. A Portoghesi si deve anche la riscoperta del corpus dei disegni borrominiani, quando, nel 1967 cura la mostra e il catalogo in occasione del quarto centenario dalla morte1. Portoghesi studia a Roma e da subito la sua figura di intellettuale fa emergere due vocazioni complementari: da una parte quella di storico e, dall’altra, quella di architetto.
Nel 1956, a soli venticinque anni, scrive un libro su Guarino Guarini2 che lo catapulterà all’attenzione internazionale proiettando la sua carriera come storico dell’architettura. Una settimana dopo l’uscita del volume arrivano tre lettere di complimenti: una di Rudolf Wittkower, una di Giulio Carlo Argan e la terza di Bruno Zevi, tutte propongono al giovane ricercatore allettanti progetti editoriali. Nel 1966 Portoghesi scrive Roma Barocca3 in cui racconta le vicissitudini della città tra il 1600 e il 1750. In questo contesto storico i principi formali di base e i metodi compositivi del barocco sono verificati attraverso analisi critiche e tecniche dei monumenti stessi. Il corollario fotografico delle opere barocche è scattato dall’autore stesso mettendo a frutto la sua passione per la macchina da presa. Sono gli anni del sodalizio con Bruno Zevi che durerà poco ma lascia un segno profondo nell’esperienza umana e intellettuale di Paolo Portoghesi. È il 1964 quando, appena arrivato a insegnare a Roma da Venezia, Zevi indica un programma di riforma, esposto nell’aula magna della facoltà di architettura, improntato a fondere la composizione architettonica con l’insegnamento della storia4. Egli tenta di contrapporsi all’ortodossia del movimento moderno e indica come via d’uscita un riavvicinamento critico della storia che va re-interpretata in chiave ‘operativa’. Zevi cerca, con le parole di Louis Sullivan, “il nuovo nell’antico e l’antico nel nuovo”5. Questa idea non può che sedurre Portoghesi che in quell’anno collabora con Zevi al volume Michelangiolo architetto6. I due svilupperanno un lavoro a quattro mani, occupandosi personalmente dell’impaginazione delle immagini e delle didascalie e trascorrendo diversi mesi di lavoro assieme nello studio di Zevi in via Nomentana. Lo scambio intellettuale tra i due è intenso e totalizzante: dai temi trattati nel libro si passa ai temi politici, letterari, filosofici fino all’argomento dell’identità culturale ebraica.Nel febbraio dello stesso anno, Zevi e Portoghesi collaborano, assieme ad Argan, De Angelis D’Ossat, Rubino, Bettini, Gigliotti e Boudet, alla mostra per le celebrazioni michelangiolesche al Palazzo delle Esposizioni. Per l’allestimento della mostra Portoghesi prende spunto dai testi di Zevi sugli studi michelangioleschi per le fortificazioni fiorentine. Gli schizzi di Michelangelo, fino ad allora poco conosciuti o ignorati, vengono interpretati come matrici per un nuovo sodalizio tra storia e composizione architettonica e diventano i temi decorativi dell’allestimento che viene realizzato in pannelli di polistirolo organizzati lungo le pareti seguendo un pattern variabile derivato da matrici matematiche. Per sottolineare questo elemento di logica formale, Portoghesi affida la composizione di un accompagnamento di musica elettronica a Vittorio Gelmetti, cercando così un nuovo rapporto tra musica e architettura. Questa profonda intesa culturale tra Portoghesi e Zevi è destinata a interrompersi bruscamente nel 1967, per un diverbio sulla figura di Borromini, proprio mentre i due stavano preparando una grande monografia in occasione del terzo centenario dalla morte. La comprensione e il dialogo si trasformano in diffidenza e pregiudizio. Portoghesi non rinnegherà mai questo tentativo di far vivere nel “linguaggio moderno dei frammenti dedotti da esperienze di epoche passate, lontane nel tempo e nello spazio e scelte in quanto (..) profezia di modernità”7. I due non ricuciranno mai il rapporto ma, privatamente, intratterranno qualche occasionale scambio epistolare dove trapela ancora una certa affinità umana e intellettuale8. Meno noto ma per nulla scontato è l'interesse di Portoghesi per la storia della tecnologia e per lo studio delle scienze matematiche. Nel 1965, scrive Tecnica curiosa9, un saggio sulla storia del pensiero razionale. Per lui, Tecnica curiosa è “la macchina progettata mentalmente prima di essere costruita, anche la macchina come un semplice pensiero e indagata astrattamente come un'idea”. Portoghesi supera l'idea della tecnologia come mera protesi del corpo umano e abbraccia l'idea che la macchina “inizi a imporsi come una proiezione diretta del ragionamento o come uno stimolo fantastico legato al misterioso senso della natura, al desiderio di scoprire e celebra insieme i segreti del movimento, della forza e del tempo”. Portoghesi discute questi temi con l’amico Vittorio Somenzi10 da cui, seguendo la teoria di Turing sull’intelligenza artificiale, nasce l’intuizione che la macchina possa riprodursi e sia dunque in grado di raccogliere il messaggio di una generazione e trasmetterla all’altra. Il progetto utopico per la città di Dikaia, del 1969, nasce proprio da queste riflessioni: una città interamente meccanica in grado di riprodursi e basata sulla trasmissione sistematica delle informazioni.

Moretti
Questa passione per la scienza si intreccia anche con la sua vita personale. La prima moglie, Anna Cuzzaro, lavora come matematico presso l’Istituto per la Ricerca di Matematica Operativa in Matematica Applicata all'Urbanistica (IRMOU) fondato nel 1957 da Luigi Moretti e a cui collabora, tra gli altri, Bruno De Finetti, che svolge un ruolo particolarmente importante non solo come brillante studioso, ma anche perché introdurrà nel gruppo di ricerca il primo IBM 610. Moretti è anche l’autore del primo manifesto sull’architettura parametrica11 in cui egli vede la possibilità di applicare un approccio più scientifico alle sfide della ricostruzione postbellica in Italia. In questo senso L'IRMOU mirava a utilizzare metodologie matematiche e statistiche per fornire soluzioni che erano considerate quantitativamente e qualitativamente più efficaci per la ricostruzione e all’ammodernamento dell'Italia post-bellica. In virtù di queste frequentazioni, Portoghesi intrattiene un rapporto di ammirata amicizia con Moretti di cui apprezza l’intelletto e la figura di catalizzatore dell’ambiente romano del primo dopoguerra. Moretti è anche autore, assieme al critico francese Michael Tapié, di un raffinato volume sulla matematica delle forme nell’architettura barocca12 che Portoghesi custodisce gelosamente nella sua sterminata biblioteca di Calcata.

Milano
Portoghesi è ormai uno storico di successo e un architetto baciato dalla fortuna quando decide di andarsene da Roma verso nuove strade. Nel 1968 arriva a Milano dove, a soli trentasei anni, viene indicato dal consiglio di facoltà composto da Albini, Roger e Viganò come preside della facoltà di architettura del Politecnico. In quegli anni difficili tenta di portare avanti la “continutà della cultura” contrapponendosi alle posizioni massimaliste che condannavano la cultura universitaria in quanto cultura “borghese”. Questo atteggiamento dialogante viene ben accolto: le sue lezioni ex cathedra in cui racconta le radici storiche dell’architettura moderna, accostando Wright e Borromini, Le Corbusier e Palladio, Mies e l’architettura greca, riscuotono un grande favore. L’esperienza milanese si conclude però bruscamente con l’occupazione universitaria che causa la sospensione del consiglio di facoltà e la nomina di un ‘commissario-dittatore’ come il professor Beguinot.

Inibizioni
A cavallo tra anni gli anni ‘60 e ‘70, Portoghesi si cimenta in una serie di progetti in cui esplora, da architetto, alcuni dei temi sviluppati a partire dall’amicizia con Zevi. Sviluppa così un tentativo di teorizzazione della spazialità nel volume Inibizioni dell’architettura moderna del 197413. Partendo da una serie di racconti e di memorie personali sulla sua giovinezza a Roma, l’autore racconta la fascinazione per le architetture della città eterna e, in particolare, del barocco romano. Portoghesi tenta ancora una volta di andare oltre l’ortodossia del Moderno che operava una dogmatica cesura tra città storica e modernità. Al contrario, tenta di ricucire le preesistenze della città storica con l’esperienza del moderno che anima lo spirito del volume. Portoghesi sostiene la necessità di riappropriazione della storia da parte dell'architettura moderna senza paure o inibizioni, integrando la memoria del passato con il desiderio e le necessità della modernità. Per fare ciò, Portoghesi va alla scoperta di “Roma prima di Roma”14, grazie anche all’amico storico norvegese Christian Norberg-Schulz che citerà questi studi nel suo Genius Loci15. Portoghesi ripercorre a ritroso la storia e cerca una matrice formale allo sviluppo urbano della città di Roma. La trova lungo la valle del Treja, nel nord del Lazio, in provincia di Viterbo dove sorge l’amata Calcata. Portoghesi interpreta le forre, un sistema di gole ed insenature che tagliano la morfologia del territorio grazie all’azione dei corsi d’acqua, come matrice della spazialità di Roma, fatta anch’essa di insulae e strade strette.

Teoria dei Campi
Inibizioni è comunque significativo per la “Teoria dei Campi”. Dall’osservazioni dell’ornamento degli altari nelle chiese barocche messicane, Portoghesi riflette su elementi architettonici che possano "emanare" delle onde, come fossero dei campi magnetici, che colpiscono gli spazi circostanti della chiesa. Questa intuizione impone la necessità di nuovi strumenti di rappresentazione. È una ricerca che produce infatti una serie di disegni in cui delle onde increspate emanano cerchi concentrici. Prima ancora di essere piante architettoniche, questi disegni sono diagrammi spaziali che producono un campo di linee di intensità differenziata. Questo campo diventa il modello in cui si possono disporre pareti, strutture ed elementi divisori e, allo stesso tempo, si possono esprimere qualità meno tangibili dello spazio, come luce e suono. In questo caso, il diagramma può essere inteso come un modo di leggere in pianta le qualità intensive dello spazio: ogni centro può essere inteso come un punto di particolare intensità - dovuto al suo programma o alla qualità della luce o del suono, ecc. In questo senso, sebbene non sviluppato con i computer, questo metodo progettuale segue logiche strettamente algoritmiche. Il campo, oltre a esplorare il potenziale per una spazialità più aperta e porosa, diventa mezzo per formulare una nuova espressione formale. Questa teoria è applicata per la prima volta nel progetto per la Casa Andreis (1964-69) a Scandriglia, vicino Rieti. L'articolazione delle pareti e la suddivisione dello spazio della casa seguono il modello costruito attraverso i cerchi. Il risultato è una struttura che sostiene la libera circolazione e stabilisce un confine molto fluido non solo tra solido e vuoto, ma anche tra interno ed esterno. Ancora una volta, l’influenza borrominiana si riflette nell’architettura di Portoghesi. Qui, come nei disegni di San Carlino, il tracciato regolatore, il sistema che dimostra la scientificità dell’impianto architettonico è usato come matrice generativa. Borromini è infatti uno dei pochi che tra ‘500 e ‘600 a utilizzare la grafite (per lo più si disegnava a penna) riuscendo a esprimere, attraverso il gusto per l’esattezza assoluta, la sua capacità di disegnare “matematicamente”. In Borromini esiste la volontà di razionalizzare: non si accontenta del controllo diretto. In lui c’è la volontà di utilizzare sistemi di controllo indiretto sul progetto, di estrema esattezza. Allo stesso modo, nel libro di Portoghesi troviamo i concetti di campo, crescita, ritmo e processo che sono concepiti come sistemi di controllo indiretto sul progetto architettonico. Fin dai suoi primi progetti per una villa privata alla periferia di Roma per la famiglia Baldi (1959-1961), Portoghesi ha sperimentato una metodologia di progettazione proto-algoritmica usando diagrammi generativi come principio organizzativo. Il risultato è una struttura aperta che produce uno spazio eterogeneo in cui i parametri che contribuiscono al carattere dello spazio (pareti, aria, luce, ecc.) definiscono la forma dell’edificio. Il progetto per la chiesa della Sacra Famiglia a Salerno (1971-1974) è senza dubbio l'esempio più maturo e di successo di questo corpus di opere in quanto l’esplorazione dei campi si estende compiutamente nella terza dimensione. Mentre in Casa Baldi o Andreis il progetto emerge come un’estrusione diretta dal diagramma bidimensionale, nel progetto per la chiesa di Salerno, il campo comprende tutte e tre le dimensioni. L'idea di progettare attraverso un processo di controllo morbido sul progetto dà modo a Portoghesi di articolare composizioni aperte, in cui l’architettura lasci spazio alla vita. Nonostante Portoghesi continui a progettare copiosamente durante tutti gli anni ottanta e novanta, questo periodo rimane indubbiamente uno dei momenti più felici e originali della sua produzione architettonica. Il tentativo di teorizzazione della logica formale in architettura rimarrà incompiuto per il sopraggiungere della fase postmoderna, in cui avrà moltissimi compagni di strada all’opposto della ricerca precedente affatto solitaria.

La Biennale
Nel febbraio del 1979 viene nominato direttore del settore Architettura alla Biennale di Venezia. A dargli l’annuncio è l’amico e allora presidente della Biennale Carlo Ripa di Meana che aveva coraggiosamente gestito la “Biennale del Dissenso”. Portoghesi raccoglie il testimone da Vittorio Gregotti che dal 1975 era stato il primo direttore del settore architettura. Al contrario del suo predecessore, Portoghesi vuole con la sua Biennale avvicinare l’architettura alla gente, smarcandosi da posizioni prettamente disciplinari ed elitarie16. Lo fa attraverso la riapertura delle Corderie dell’Arsenale e la Strada Novissima, esibizione di grande successo che catapulta la sezione architettura della Biennale sulla ribalta internazionale. L’idea per la Strada Novissima era nata da un soggiorno berlinese con Carlo Aymonino e Aldo Rossi in cui, camminando per Postzdamer Plaz, i tre si imbattono nelle bancarelle del mercato, sviluppate su due piani, che formano una quinta urbana. Portoghesi intuisce che, invece che un’esposizione di fotografie di architettura, la mostra possa mostrare delle architetture temporanee con cui il pubblico possa interagire e che possano essere esperite a scala reale. Come primo atto del nuovo corso alla Biennale, Portoghesi commissiona all’amico Aldo Rossi il Teatro del Mondo, una piccola struttura temporanea fatta di tubi innocenti e legno che farà il giro della laguna entrando in dialogo con il genius loci delle architetture lagunari. Un progetto poetico quello di Rossi che incontra il favore dei veneziani o, almeno, a Portoghesi così pare quando, ospite al leggendario Harry’s Bar, Arrigo Cipriani esprime un’adesione incondizionata per quell’opera e inserisce nella ricevuta un cospicuo sconto. Quattro anni dopo Portoghesi diventa presidente della Biennale per via di un veto di Claudio Martelli nei confronti di Cesare De Michelis, il candidato più accreditato dai vertici del Partito Socialista Italiano. Come presidente cerca una contaminazione delle arti, un dialogo tra cinema, arte visiva, musica, architettura e teatro sui temi della modernità ma il suo tentativo rimarrà inevaso. Con Manfredo Tafuri, di qualche anno più giovane, Portoghesi ha condiviso a lungo l’interesse per la storia e nasce subito un rapporto di amicizia. Tafuri recensisce positivamente sia Roma Barocca che Borromini ma il rapporto si guasta quando, nel 1979, Portoghesi sbarca a Venezia a dirigere la Biennale. Sia il Teatro del Mondo che la Strada Novissima sono percepite da Tafuri come un’ingerenza nella cultura veneziana che Tafuri insieme con Massimo Cacciari, Francesco Dal Co e altri docenti dello Iuav veneziano stava monopolizzando. Tuttavia, i due trascorrono il Capodanno del 1979 assieme a Roma nella casa di via Gregoriana che si affaccia su Piazza di Spagna. Portoghesi ricorda che in quella occasione Achille Bonito Oliva si rivolge a Tafuri con uno strano movimento della gamba: “vedi, Manfredo, questo è il movimento moderno!”. Pochi anni dopo, Tafuri riserverà un fortissimo attacco, anche politico, a Portoghesi e al suo nuovo corso storicista definendolo “la gaia erranza17”. Gli anni ’80 sono anche gli anni della passione politica. Si iscrive nel partito socialista nel 1961 quando buona del partito era costituito da anarchici. Condivide l’ascesa del Psi al potere come membro del comitato centrale, partecipando, tra l’atro, all’elezione di Bettino Craxi alla guida del partito all’hotel Midas a Roma. Di Craxi condivide lo spirito riformista, ne ricorda la timidezza (!) e una volontà ferrea. A lui lo lega un’amicizia personale che, dopo la sua morte, Portoghesi ricorderà con nostalgia.

Moschea
Alla fine degli anni ‘70 Portoghesi vince il concorso per la nuova moschea di Roma. Il progetto viene aggiudicato nel 1974 e Portoghesi impiegherà circa vent’anni a portarlo a termine. Nella grande moschea Portoghesi stabilisce un dialogo con la cultura islamica attraverso quella che lui stesso definisce come la “poetica dell’ascolto”. Il progetto è carico di significati simbolici e sancisce la convivenza pacifica a Roma delle tre grandi religioni monoteiste: lungo il Tevere, dopo la sinagoga e San Pietro, la città si arricchisce di un luogo di culto per i fedeli di religione islamica confermando lo spirito dialogante della città eterna. Portoghesi ha coltivato sin da ragazzo un forte senso religioso e, in particolare, la sua fede cattolica investe sia la sfera personale che quella di progettista. Per lui l’architettura è ordine, essa nasce dall’osservazione della natura e dall’ammirazione per il creato. Portoghesi trova negli scritti di Benedetto XVI18 la chiave per rinnovare la sua fede attraverso lo studio della liturgia e il suo rapporto con lo spazio del sacro. Dopo la chiesa della Sacra Famiglia a Salerno realizza Santa Maria della Pace a Terni (2003), la chiesa di Calcata dedicata ai Santi Cornelio e Cipriano (2009) e più di recente, la chiesa dedicata a San Benedetto a Lamezia Terme (2019).

Calcata
La sua religiosità e il desiderio di una vita più contemplativa e a contatto con la natura lo portano ad un progressivo distanziamento dall’amata e odiata città natale. Portoghesi visita per la prima volta Calcata alla fine degli anni ‘50 e ne rimane entusiasta. Il fascino per quei luoghi resta invariato nel tempo e, negli anni, acquista progressivamente dei fienili convertendoli in abitazione. Da un primo nucleo di pochi metri quadri, Portoghesi e la moglie Giovanna svilupperanno una loro casa ideale, trasportando a Calcata i ricordi della vita: i libri, innanzitutto, più di quarantamila volumi che sono custoditi in parte nella casa e in parte nella biblioteca che è pensata come luogo di incontro con la cultura e di contemplazione. Il giardino adiacente all’abitazione è luogo ameno, popolato da piante e animali, è anche il luogo della memoria per ricordare i luoghi visitati e, al contempo, uno spazio sacro. Lì sorge “il tempio degli dei fuggiti”, dedicato alla memoria e alla nostalgia della dimensione spirituale troppo spesso rimossa dalla società moderna. Gli animali del giardino sono selezionati per la loro bellezza e varietà formando una ideale arca di Noè. Tra questi, i pavoni e soprattutto un asino, ispirato dal film di Robert Bresson19 in cui l’asino rappresenta quella parte dell’umanità che si scarnifica per migliorare la vita mentre il resto dell’umanità fa di tutto per peggiorarla – ma è anche una specie in via d’estinzione, cara a chi reagisce al presente, guardando al passato come l’architetto romano. Portoghesi porta gli amici intellettuali a Calcata, da Sigfried Giedion a Henry-Russell Hitchcock e naturalmente Norberg-Schulz, a cui vuole far vedere qualcosa di assolutamente inedito. Così facendo, Portoghesi contribuisce in modo determinante a salvare il borgo dall’abbandono evitandone l’abbattimento. In questo senso l’architetto contribuisce a salvare Calcata, impegnandosi personalmente nell’opera di consolidamento delle fondamenta del borgo fatte di roccia calcarea e contribuendo in maniera determinante alla definizione dell’identità e alla vocazione di quel luogo come luogo di cultura. Da qui, Portoghesi si dedica ad indicare una via nuova al problema del vivere contemporaneo e, in particolare, ai temi relativi al rapporto con l’ambiente. La critica nei confronti della standardizzazione dei linguaggi, l’omologazione culturale e la globalizzazione economica implica un atteggiamento di responsabilità che verrà espresso in quella che lui chiama la Geoarchitettura20. Portoghesi invita ad un atteggiamento di ascolto della natura i cui insegnamenti diventano fondamento per una pianificazione che rispetti l’ambiente e sia rispettosa della memoria e dell’identità dei luoghi. Anche qui, all’impegno civile fa eco un’aderenza alla fede di papa Francesco e all’enciclica Laudato Si’. Portoghesi abbandonerà definitivamente Roma nell’anno giubilare per trasferirsi a Calcata e dedicarsi al vivere poetico. Non è una fuga dalla città la sua. Calcata è per lui il luogo dove si può ringraziare21 dato che, per dirla con Heidegger, il vero sapere è ringraziamento e, di fronte alla natura e alla bellezza del creato, appunto, non si può far altro che essere grati.

Note

1 Disegni di Borromini: mostra organizzata dall’Accademia nazionale di San Luca in occasione del terzo centenario della mostra di Francesco Borromini. Catalogo a cura di Paolo Portoghesi, De Luca, Roma 1967.
2 P. Portoghesi, Guarino Guarini 1624-1683, Electa, Milano 1956.
3 P. Portoghesi, Roma barocca. Storia di una civiltà architettonica, Bestetti, Roma 1966.
4 B. Zevi, La storia come metodologia del fare architettonico, Prolusione all’Anno Accademico dell’Università La Sapienza del 18 dicembre 1963, ora in Id., Architettura e storiografia. Le matrici antiche del linguaggio moderno, Quodlibet, Macerata 2018, pp. 153-173.
5 F.L. Wright, An Autobiography, Faber & Faber, London 1945.
6 P. Portoghesi, B. Zevi, a cura di, Michelangiolo architetto, Einaudi, Torino 1964.
7 P. Portoghesi, Roma/Amor, Marsilio, Venezia 2019.
8 Ibidem.
9 P. Portoghesi, Infanzia delle macchine, Edizioni dell’Elefante, Roma 1965; nuova edizione Tecnica curiosa. Dall'infanzia delle macchine alle macchine inutili, Medusa, Milano 2014.
10 R. Cordeschi, V. Somenzi, La filosofia degli automi. Origini dell'intelligenza artificiale, Bollati Boringhieri, 1994.
11 L. Moretti, Ricerca matematica in architettura e urbanistica, in “Moebius”, a IV, n.1, 1971, pp. 30-53.
12 L. Moretti; M. Tapié, Le baroque généralisé: manifeste du baroque ensembliste, Edizioni del Dioscuro, Torino 1965.
13 P. Portoghesi, Le inibizioni dell’architettura Moderna, Laterza, Roma-Bari 1974.
14 Ibidem.
15 C. Norberg-Schulz, Genius loci. Paesaggio, ambiente, architettura, Electa, Milano 1979.
16 A. Levy, W. Menking, Architecture on display: On the history of the Venice Biennale of Architecture, Architectural Association publication, London 2010.
17 M. Tafuri, Storia dell’architettura italiana 1944-1985, Einaudi, Torino 1986.
18 J. Ratzinger, Opera Omnia, Vol. XI - Teologia della Liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2010.
19 R. Bresson, Au Hasard Balthazar, Francia 1966.
20 P. Portoghesi, Geoarchitettura, Verso un’architettura della responsabilità, Skira, Milano 2005.
21 M. Heidegger, Che cosa significa pensare?, Sugarco, Milano 1996.

Bibliografia

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