Lo studio dei luoghi e la loro reinterpretazione diventa l’occasione per leggere i progetti di Camillo Botticini. Lo sguardo preciso su un paesaggio che è noto all’autore introduce una riflessione su temi, misure e pratiche architettoniche. In questo senso le opere e la ricerca condotta nell’ambito della sua attività progettuale, esprimono un radicamento al contesto riconducendo l’attenzione su una pratica del progetto colta. Questa, a sua volta, proietta su oggetti e sistemi, posizioni teoriche e culturali, alla ricerca di elementi di continuità con l’eredità del Moderno.
Nel saggio “Un paese senza paesaggio”1, Franco Purini articolava la penisola italiana come una casa “suddivisa in tre grandi ambienti continui organizzati da un impervio corridoio costituito dalla dorsale appenninica […] tre stanze, la padana, la tirrenica e l’adriatica”2. In una transizione del concetto di “forma urbis” a “forma regionis”3 trasferiva una predisposizione del progetto a governare un auspicabile processo di restauro del paesaggio italiano. Purini, individuava nel dualismo piccola scala-grande scala, una via per la restituzione di senso dei luoghi e dei paesaggi. Cinque “magistrature”4 progettuali potevano assumere in loro entità tematiche tali da mutuare un radicamento ai luoghi, in cui nella “stanza padana”5 vede la “preminenza della centuriazione, dal cui ordinato reticolo proviene l’attitudine razionale della cultura del nord e, conseguentemente il primato della pianta come principio ordinatore dello spazio”6. A questa descrizione della stanza padana si somma l’elemento della sezione che Purini destina a quella dell’Appennino Centrale, la cui magistratura è legata alla topologia e al suo articolare il legame con i luoghi attraverso un rapporto di mediazione tra lo spazio, la morfologia e le istanze dell’architettura.
La lunga citazione è necessaria per introdurre una combinazione interessante che mescola i caratteri delle stanze descritte da Purini e muove insieme questi due elementi nel territorio padano, ovvero il territorio di Brescia e della sua provincia. Un territorio ascrivibile ai caratteri della “stanza padana” che per conformazione geologica e collocazione geografica è caratterizzato a sua volta da alcuni aspetti della “stanza appenninica”, rappresentando il punto di passaggio tra pianura e montagna. In questo particolare contesto, che è il luogo principale delle sue sperimentazioni, ricadono le architetture di Camillo Botticini, e il dispositivo pianta-sezione diventa un carattere identitario del suo operare in un territorio di passaggio tra condizioni morfologiche differenti.
Guido Piovene descrive Brescia e la sua provincia “…per oltre metà è montanara, per quasi un quarto è collinare, per poco più di un quarto è piana”7, questa condizione determina anche il carattere delle architetture di Camillo Botticini8 da cui si evince un’interessante ibridazione di ‘stanze’. Questo aspetto diventa un terreno fertile di sperimentazione progettuale, soprattutto tipologica, ancorata ad una cultura razionalista che -come nella descrizione fatta da Piovene per la città di Brescia- esprime un forte legame con la tradizione rurale e la sua sobrietà. Pur riconoscendo la pianta come principio ordinatore, questa particolare condizione morfologica abbraccia una dimensione geografica che implica la necessità di tenere insieme una scala grande e una piccola. Una combinazione in cui affiora la formazione di Camillo Botticini e la sua istruzione politecnica, maturata dapprima con la laurea e successivamente come docente a contratto di Progettazione Architettonica nella Scuola AUIC del Politecnico di Milano. Una formazione sviluppatasi in un contesto teorico e didattico di matrice rogersiana e fondata sulla trasmissione del metodo e del mestiere9. Riemergono così i principi dell’educazione al progetto che, coniugando fare e metodo, assumono un’articolazione che contemporaneamente è di processo e di prodotto.
Da questa impostazione è possibile individuare una costruzione logica delle architetture di Botticini espressa tramite “un linguaggio che si affida ad impianti edilizi di chiara conformazione generale, una conformazione persino elementare, in cui si respira la volontà di assimilare l’oggetto architettonico ad un’infrastruttura”10, coniugando in tal modo elementi tipologici e topologici. Emerge quindi, in seno alla sua attività di progettista un attento studio della topologia, attraverso cui cogliere i caratteri e gli elementi che costituiscono la morfologia dei contesti in cui opera. A questo consegue l’enunciazione di un “codice topologico”11 proprio, non esplicitato con dei segni ma attraverso l’attitudine del progetto a essere parte del patrimonio semantico del paesaggio. Così inteso, il “codice topologico” come attitudine, assume un carattere privo di scala, interpretando di volta in volta l’orientamento dello spazio per accogliere gli elementi del paesaggio urbano e naturale. In questo modo l’architettura contribuisce a una rappresentazione morfologica e a un nuovo disegno dello spazio.
Il dispositivo tipologico/topologico, che nella sua unità può essere disambiguato e ricomposto in vario modo, nel posizionarsi nei luoghi può assumere scale e misure differenti, configurando delle relazioni che gli fanno acquisire un carattere che non è più “a-scalare” ma “transcalare”. Pertanto, il rapporto dialettico con il paesaggio è esplicitato da delle scelte che coniugano insieme gli elementi tipologici con quelli topologici, cosicché l’oggetto architettonico possa essere riferito alla scala del contesto. Ed è in questo passaggio che l’oggetto architettonico, assimilandosi a una infrastruttura, porta in sé misure e dimensioni che si confrontano con la geografia: la sinergia determinata dalla messa a sistema degli elementi tipologici con quelli topologici dà luogo a segni nel paesaggio che descrivono e interpretano.
La parola geografia appare spesso nel pensiero progettuale di Camillo Botticini, sia quando lavora come singolo progettista, sia nel laboratorio di ricerca ARW_Architectural Research Workshop, fondato nel 2016 insieme a Matteo Facchinelli con cui condivide esperienze progettuali e di ricerca12. Nella pubblicazione Botticini+Facchinelli. Architectural | Research | Workshop13, che raccoglie le opere prodotte dal 2016, colpisce il ripetuto legame con la geografia che si riscontra nelle denominazioni dei singoli progetti, seppur con differenti declinazioni.
Questa si presenta in un’accezione variabile e comprende anche i sistemi urbani orizzontali, rappresentati dagli isolati residenziali a case e ville, confermando “che le cose, anche le più piccole, sono molto più visibili nel paesaggio di quanto si pensi”14.
Nella maggior parte delle architetture di Camillo Botticini ci sono due temi ricorrenti. Uno è quello del limite fisico e teorico, dove l’architettura misura e identifica sia la scala di relazione che la scelta delle relazioni tra città e paesaggio. L’altro è quello del basamento o dell’attacco al suolo. La maggior parte degli edifici progettati, in buona parte anche realizzati, si collocano in contesti di margine, spesso caratterizzati da una morfologia complessa. È una propensione che è facilmente riconoscibile e chiarisce immediatamente la scala di riferimento a cui si allude e con la quale si vogliono stabilire relazioni di reciprocità.
Ad esempio, nella Villa Alps a Lumezzane in provincia di Brescia (2011-2014), gli elementi geografici costituiscono porzioni del progetto. In questa architettura, il sistema montuoso identifica il quarto lato della corte. Ciò che definisce il rapporto simbiotico dell’architettura con l’elemento della geografia è il basamento, tramite la scansione del ritmo verticale e l’inquadramento di porzioni di paesaggi sempre mutevoli. La sua posizione, adiacente a un centro abitato, determina una rivendicazione di nuovo limite a metà tra la scala urbana e quella del territorio. L’azione del recingere diviene nuovamente un momento di mediazione nel progetto e le deformazioni, indotte sulla pianta a “C”, seppur ricordano alcune sperimentazioni olandesi di UNStudio15, in questo caso sono molto più aperte al paesaggio come dimostra il grande taglio rivolto alla montagna. In sintesi, Villa Alps rappresenta una sperimentazione sulla deformazione tipologica in grado di raccogliere le istanze del luogo, portandosi dietro “la storia della cultura del contesto”16.
Lo stesso atteggiamento prevale nella Claw House17 (2015-2018) dove il basamento viene assorbito dalla collina a sua volta tagliata per consentirne l’accesso. Su di esso è appoggiato un blocco a corte aperta che, chiudendosi su sé stesso, orienta lo sguardo in modo preciso. La combinazione tipologia/topologia in questo progetto ritorna ad essere un dispositivo dialettico tra paesaggio ed edificio, attraverso la combinazione degli elementi tipologici. Il rapporto tra basamento e blocco è di sospensione e di autonomia, quasi a voler rivendicare l’appartenenza a due scale di relazione diverse. Una condizione, quella della sospensione, sottolineata anche dalla rampa esterna che connette le due quote e che si stacca progressivamente dal suolo in una apparente fluttuazione. Una scelta che, se da un lato viene motivata dalla reversibilità e sostenibilità dell’architettura18, dall’altra induce a considerare le variabili spazio e tempo con misure differenti.
Alla “cultura del contesto” rimanda anche l’ampliamento del Cimitero a Induno Olona19 (2018), dove il quarto lato dell’impianto esistente, che diviene l’occasione per riconfigurare il luogo, costituisce il basamento della collina con cui si confronta. Nel contempo, l’innesto che si astrae dalla preesistenza con uno scarto tale da assumere un senso di sospensione dal cimitero storico -opera del Maciachini- segna la sua appartenenza al sistema morfologico, riportando alla memoria alcuni studi di Arnaldo Pomodoro per il Cimitero di Urbino (1973). Qui Pomodoro pensa a dei tagli per “aprire la collina, rispettandone la forma, per costruire un percorso solare dove poter riflettere sulla morte”20. Nel caso del cimitero ad Induno Olona invece, questi tagli vengono ribaltati nel disegno del prospetto per scandire il ritmo e misurare il tempo utilizzando la luce. I due elementi, limite e basamento, in questo caso hanno il compito di scandire il tempo sia nel rapporto con la preesistenza che con la morfologia. Una scansione che lavora in sezione, mediando quote e legando lo spazio in un percorso di transizione tra materiale e immateriale.
Una analoga strategia progettuale atta a coniugare preesistenza e ampliamento, compare nel progetto del Cimitero di Bagnolo Mella (2009) dove si avvia un dialogo tra la dimensione fisica e spirituale dell’impianto cimiteriale esistente, introducendo il tema dell’acqua. In questo caso il passaggio dalla scala geografica è mediato dalla dimensione e dal ritmo della maglia poderale. Qui il legame visivo con il contesto è riassunto in un paesaggio interiore che, per mezzo della transizione, accompagnata e segnalata dall’acqua, costruisce un progressivo disassamento visivo rispetto all’alto volume dell’atrio. Ne consegue che la relazione diretta con l’esterno è offerta da uno sguardo alto, rivolto al cielo, che diventa un ulteriore prospetto. La pianta a sua volta esprime un impianto centrale con un transetto disassato rispetto alle relazioni tra i due bracci e lo spazio della corte mira a ricondurre il tutto a una assialità trasversale e dilatata. Ritorna in maniera inequivocabile un legame con il Razionalismo milanese21, ma anche il riferimento alle proprie esperienze maturate indagando l’architettura spagnola22.
Quest’ultimo riferimento è riconoscibile in molta della produzione architettonica di Botticini, sia per linguaggio che per principi spaziali e scelte compositive. Ne emerge una vocazione dell’architetto a sondare più che a esplicitare “…con progetti la dimostrazione di una volontà teorica, tesa a seguire puntigliosamente il ‘farsi’ dei progetti stessi sottoponendoli al riscontro metodologico”23. Sulla questione del metodo e della ricerca teorica, è lo stesso Botticini ad interrogarsi sul nesso che stabilisce la “ricerca di fondamenti del fare progettuale”24 a partire dall’opera di Mansilla+Tuñón per introiettarla nel suo percorso. Sempre in questa riflessione, il rimando al suo background è chiaro ed esplicito, scevro dal riferimento geografico, sintattico nel legame sostanziale, aperto alla sua reinterpretazione nel “principio correlativo”25 quale strumento di esplorazione dello spazio e delle sue deformazioni. Questo principio è proiettato nelle esperienze progettuali sperimentali in cui le relazioni tra la memoria, la geografia, la tecnica e lo spazio servono a stabilire dei rapporti di soglia e di transizione.
In sintesi, il “codice topologico”, inteso come attitudine del progetto ad assimilare segni del paesaggio per contribuire alla sua descrizione, restituisce una sperimentazione continua sul metodo e sulla sua verifica. Si tratta sicuramente di una sperimentazione progettuale fatta per sondaggi e condotta a più livelli, da quello teorico a quello tecnico, e in cui “cercare” domande pertinenti sul ruolo dell’architettura nella trasformazione di paesaggi, città, spazi e identità. Sono quesiti atti a costruire un insieme semantico ascrivibile a un “codice topologico”, la cui struttura dimensionale acquista corrispondenza e scala solo nel confronto con i luoghi e i temi del progetto. Le risposte alle domande cercate sono da ritrovarsi in una persistenza di elementi e forme semplici, che nel confronto con i luoghi si articolano in un dialogo e in uno scambio, in cui il lessico interpreta e misura di volta in volta un luogo, un tema, le architetture e gli uomini che le abitano.
Note
1 F. Purini, Un paese senza paesaggio, in “Casabella”, n. 575-576, 1991, pp. 40-47.
2Ivi, p. 45.
3Ibidem.
4Ivi, p. 46.
5Ibidem.
6Ibidem.
7 G. Piovene, Viaggio in Italia, Bompiani, Milano 2017, p. 142. In realtà si riprende in questo caso la citazione di Valerio Paolo Mosco nel saggio indicato nella nota successiva.
8 V. P. Mosco, Alcune note su ARW, in I. Giurgiola, F. Lombardi, (a cura), Botticini+Facchinelli. Architectural | Research | Workshop, Monograph.it, LISt Lab 2019, p. 9. In questo saggio, lo stesso autore introduce il concetto di carattere e di appartenenza citando Piovene.
9 E.N. Rogers, L’esperienza dell’architettura, Skira, Milano 1997, p. 52.
10 V. P. Mosco, Alcune note su ARW, Cit.
11 Si veda la voce “topològico” in dizionario Treccani: «1. In geografia, codice t., l’insieme dei segni di cui si serve la topologia per rappresentare i vari tipi di forme del suolo», www.treccani.it/vocabolario/topologico/, consultato il 18/12/2021.
12 Questa combinazione duplice, anzi triplice, tende a disorientare. Entrambi gli autori delle opere mantengono distintamente le proprie identità di progettisti e districarsi nella lettura non è semplice seppure richiedendo un ragionamento di scomposizione temporale dell’esperienza del progetto necessita invece di sottolineare l’assoluta continuità di atteggiamento. Attualmente si possono identificare tre diversi siti internet www.botticini-arch.com/; www.facchinelli.eu/; arw-associates.com/; tutti riportanti le opere in comune dal 2016, anno di fondazione del Laboratorio di Ricerca ARW_ ARW_Architectural Research Workshop, ad oggi.
13 I. Giurgiola (a cura), Botticini+Facchinelli. Architectural | Research | Workshop, Monograph.it, LISt Lab 2019. La pubblicazione di fatto è caratterizzata dallo stesso grado di ambiguità che i protagonisti esprimono, nella veste una e trina, e si presenta al contempo come monografia e rivista, riportando testi degli autori insieme a un’intervista non firmata e un saggio di Valerio Paolo Mosco.
14 F. Purini, Un paese senza paesaggio, in “Casabella”, n. 575-576, 1991, p. 46.
15 Si fa riferimento alle ville Wilbrink (1992-94) e Möbius House (1993-98) di UNStudio.
16 E. Mantero, Introduzione, in E. Mantero (a cura), Il Razionalismo Italiano, Zanichelli Editore, Bologna 1984, p. 15.
17 Claw House a Cremignane (BS). Progettisti: Camillo Botticini, Matteo Facchinelli (ARW Associates).
18 Dalla scheda Claw House in I. Giurgiola, F. Lombardi, (a cura), Botticini+Facchinelli…, Cit., p. 34.
19 Ampliamento del Cimitero a Induno Olona (VA). Progettisti: Abdarchitetti Botticini-Apollonia Associati
20 A. Pomodoro, Nota sul progetto per il nuovo cimitero di Urbino, in “in_bo. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l’architettura”, n. 4, 2012, pp. 17-24.
21 E. Mantero, Il Razionalismo…, Cit., p. 24.
22 Camillo Botticini è autore di una monografia su Mansilla+Tuñón dal titolo Mansilla+Tuñón. Architettura della sintesi, Testo & Immagine, Torino 2003.
23 E. Mantero, Il Razionalismo…, p. 41.
24 C. Botticini, Mansilla+Tuñón. Architettura della sintesi, Testo & Immagine, Torino 2003.
- Giurgiola Ilaria (a cura), Botticini+Facchinelli. Architectural | Research | Workshop, LISt Lab, Trento 2019.
- Mantero Enrico, (a cura), Il Razionalismo Italiano, Zanichelli Editore, Bologna 1984.
- Mosco Valerio Paolo, Alcune note su ARW, in I. Giurgiola, F. Lombardi (a cura), Botticini+Facchinelli. Architectural | Research | Workshop, Monograph.it, LISt Lab 2019.
- Piovene Guido, Viaggio in Italia, Bompiani, Milano 2017.
- Purini Franco, Un paese senza paesaggio, in “Casabella”, n. 575-576, 1991.
- Rogers Ernesto Nathan, L’esperienza dell’architettura, Skira, Milano 1997.
- Pomodoro Arnaldo, Nota sul progetto per il nuovo cimitero di Urbino, in “in_bo. Ricerche e progetti per il territorio, la città e l’architettura”, n. 4, 2012, https://in-bo.unibo.it/, consultato il 15/09/21.
Didascalia immagine
Da sinistra a destra: Camillo Botticini con ABDA, Villa Alps, 2012 (foto di atelier XYZ); Botticini + Facchinelli ARW, Claw House, 2016 (foto di atelier XYZ); Camillo Botticini, Giulia de Appolonia – ABDA (I fase) e Botticini + Facchinelli ARW (II fase), Ampliamento del cimitero comunale di Induno Olona, 2012 (foto di Alessandro Galperti). Fonte delle immagini: ARW_ArchitecturalResearchandWorkshop.
Emilia Corradi
Codici topologici a-scalari
Abstract
Lo studio dei luoghi e la loro reinterpretazione diventa l’occasione per leggere i progetti di Camillo Botticini. Lo sguardo preciso su un paesaggio che è noto all’autore introduce una riflessione su temi, misure e pratiche architettoniche. In questo senso le opere e la ricerca condotta nell’ambito della sua attività progettuale, esprimono un radicamento al contesto riconducendo l’attenzione su una pratica del progetto colta. Questa, a sua volta, proietta su oggetti e sistemi, posizioni teoriche e culturali, alla ricerca di elementi di continuità con l’eredità del Moderno.
Keywords
topologia, geografia, paesaggio, infrastruttura, memoria
Nel saggio “Un paese senza paesaggio”1, Franco Purini articolava la penisola italiana come una casa “suddivisa in tre grandi ambienti continui organizzati da un impervio corridoio costituito dalla dorsale appenninica […] tre stanze, la padana, la tirrenica e l’adriatica”2. In una transizione del concetto di “forma urbis” a “forma regionis”3 trasferiva una predisposizione del progetto a governare un auspicabile processo di restauro del paesaggio italiano. Purini, individuava nel dualismo piccola scala-grande scala, una via per la restituzione di senso dei luoghi e dei paesaggi. Cinque “magistrature”4 progettuali potevano assumere in loro entità tematiche tali da mutuare un radicamento ai luoghi, in cui nella “stanza padana”5 vede la “preminenza della centuriazione, dal cui ordinato reticolo proviene l’attitudine razionale della cultura del nord e, conseguentemente il primato della pianta come principio ordinatore dello spazio”6. A questa descrizione della stanza padana si somma l’elemento della sezione che Purini destina a quella dell’Appennino Centrale, la cui magistratura è legata alla topologia e al suo articolare il legame con i luoghi attraverso un rapporto di mediazione tra lo spazio, la morfologia e le istanze dell’architettura.
La lunga citazione è necessaria per introdurre una combinazione interessante che mescola i caratteri delle stanze descritte da Purini e muove insieme questi due elementi nel territorio padano, ovvero il territorio di Brescia e della sua provincia. Un territorio ascrivibile ai caratteri della “stanza padana” che per conformazione geologica e collocazione geografica è caratterizzato a sua volta da alcuni aspetti della “stanza appenninica”, rappresentando il punto di passaggio tra pianura e montagna. In questo particolare contesto, che è il luogo principale delle sue sperimentazioni, ricadono le architetture di Camillo Botticini, e il dispositivo pianta-sezione diventa un carattere identitario del suo operare in un territorio di passaggio tra condizioni morfologiche differenti.
Guido Piovene descrive Brescia e la sua provincia “…per oltre metà è montanara, per quasi un quarto è collinare, per poco più di un quarto è piana”7, questa condizione determina anche il carattere delle architetture di Camillo Botticini8 da cui si evince un’interessante ibridazione di ‘stanze’. Questo aspetto diventa un terreno fertile di sperimentazione progettuale, soprattutto tipologica, ancorata ad una cultura razionalista che -come nella descrizione fatta da Piovene per la città di Brescia- esprime un forte legame con la tradizione rurale e la sua sobrietà. Pur riconoscendo la pianta come principio ordinatore, questa particolare condizione morfologica abbraccia una dimensione geografica che implica la necessità di tenere insieme una scala grande e una piccola. Una combinazione in cui affiora la formazione di Camillo Botticini e la sua istruzione politecnica, maturata dapprima con la laurea e successivamente come docente a contratto di Progettazione Architettonica nella Scuola AUIC del Politecnico di Milano. Una formazione sviluppatasi in un contesto teorico e didattico di matrice rogersiana e fondata sulla trasmissione del metodo e del mestiere9. Riemergono così i principi dell’educazione al progetto che, coniugando fare e metodo, assumono un’articolazione che contemporaneamente è di processo e di prodotto.
Da questa impostazione è possibile individuare una costruzione logica delle architetture di Botticini espressa tramite “un linguaggio che si affida ad impianti edilizi di chiara conformazione generale, una conformazione persino elementare, in cui si respira la volontà di assimilare l’oggetto architettonico ad un’infrastruttura”10, coniugando in tal modo elementi tipologici e topologici. Emerge quindi, in seno alla sua attività di progettista un attento studio della topologia, attraverso cui cogliere i caratteri e gli elementi che costituiscono la morfologia dei contesti in cui opera. A questo consegue l’enunciazione di un “codice topologico”11 proprio, non esplicitato con dei segni ma attraverso l’attitudine del progetto a essere parte del patrimonio semantico del paesaggio. Così inteso, il “codice topologico” come attitudine, assume un carattere privo di scala, interpretando di volta in volta l’orientamento dello spazio per accogliere gli elementi del paesaggio urbano e naturale. In questo modo l’architettura contribuisce a una rappresentazione morfologica e a un nuovo disegno dello spazio.
Il dispositivo tipologico/topologico, che nella sua unità può essere disambiguato e ricomposto in vario modo, nel posizionarsi nei luoghi può assumere scale e misure differenti, configurando delle relazioni che gli fanno acquisire un carattere che non è più “a-scalare” ma “transcalare”. Pertanto, il rapporto dialettico con il paesaggio è esplicitato da delle scelte che coniugano insieme gli elementi tipologici con quelli topologici, cosicché l’oggetto architettonico possa essere riferito alla scala del contesto. Ed è in questo passaggio che l’oggetto architettonico, assimilandosi a una infrastruttura, porta in sé misure e dimensioni che si confrontano con la geografia: la sinergia determinata dalla messa a sistema degli elementi tipologici con quelli topologici dà luogo a segni nel paesaggio che descrivono e interpretano.
La parola geografia appare spesso nel pensiero progettuale di Camillo Botticini, sia quando lavora come singolo progettista, sia nel laboratorio di ricerca ARW_Architectural Research Workshop, fondato nel 2016 insieme a Matteo Facchinelli con cui condivide esperienze progettuali e di ricerca12. Nella pubblicazione Botticini+Facchinelli. Architectural | Research | Workshop13, che raccoglie le opere prodotte dal 2016, colpisce il ripetuto legame con la geografia che si riscontra nelle denominazioni dei singoli progetti, seppur con differenti declinazioni.
Questa si presenta in un’accezione variabile e comprende anche i sistemi urbani orizzontali, rappresentati dagli isolati residenziali a case e ville, confermando “che le cose, anche le più piccole, sono molto più visibili nel paesaggio di quanto si pensi”14.
Nella maggior parte delle architetture di Camillo Botticini ci sono due temi ricorrenti. Uno è quello del limite fisico e teorico, dove l’architettura misura e identifica sia la scala di relazione che la scelta delle relazioni tra città e paesaggio. L’altro è quello del basamento o dell’attacco al suolo. La maggior parte degli edifici progettati, in buona parte anche realizzati, si collocano in contesti di margine, spesso caratterizzati da una morfologia complessa. È una propensione che è facilmente riconoscibile e chiarisce immediatamente la scala di riferimento a cui si allude e con la quale si vogliono stabilire relazioni di reciprocità.
Ad esempio, nella Villa Alps a Lumezzane in provincia di Brescia (2011-2014), gli elementi geografici costituiscono porzioni del progetto. In questa architettura, il sistema montuoso identifica il quarto lato della corte. Ciò che definisce il rapporto simbiotico dell’architettura con l’elemento della geografia è il basamento, tramite la scansione del ritmo verticale e l’inquadramento di porzioni di paesaggi sempre mutevoli. La sua posizione, adiacente a un centro abitato, determina una rivendicazione di nuovo limite a metà tra la scala urbana e quella del territorio. L’azione del recingere diviene nuovamente un momento di mediazione nel progetto e le deformazioni, indotte sulla pianta a “C”, seppur ricordano alcune sperimentazioni olandesi di UNStudio15, in questo caso sono molto più aperte al paesaggio come dimostra il grande taglio rivolto alla montagna. In sintesi, Villa Alps rappresenta una sperimentazione sulla deformazione tipologica in grado di raccogliere le istanze del luogo, portandosi dietro “la storia della cultura del contesto”16.
Lo stesso atteggiamento prevale nella Claw House17 (2015-2018) dove il basamento viene assorbito dalla collina a sua volta tagliata per consentirne l’accesso. Su di esso è appoggiato un blocco a corte aperta che, chiudendosi su sé stesso, orienta lo sguardo in modo preciso. La combinazione tipologia/topologia in questo progetto ritorna ad essere un dispositivo dialettico tra paesaggio ed edificio, attraverso la combinazione degli elementi tipologici. Il rapporto tra basamento e blocco è di sospensione e di autonomia, quasi a voler rivendicare l’appartenenza a due scale di relazione diverse. Una condizione, quella della sospensione, sottolineata anche dalla rampa esterna che connette le due quote e che si stacca progressivamente dal suolo in una apparente fluttuazione. Una scelta che, se da un lato viene motivata dalla reversibilità e sostenibilità dell’architettura18, dall’altra induce a considerare le variabili spazio e tempo con misure differenti.
Alla “cultura del contesto” rimanda anche l’ampliamento del Cimitero a Induno Olona19 (2018), dove il quarto lato dell’impianto esistente, che diviene l’occasione per riconfigurare il luogo, costituisce il basamento della collina con cui si confronta. Nel contempo, l’innesto che si astrae dalla preesistenza con uno scarto tale da assumere un senso di sospensione dal cimitero storico -opera del Maciachini- segna la sua appartenenza al sistema morfologico, riportando alla memoria alcuni studi di Arnaldo Pomodoro per il Cimitero di Urbino (1973). Qui Pomodoro pensa a dei tagli per “aprire la collina, rispettandone la forma, per costruire un percorso solare dove poter riflettere sulla morte”20. Nel caso del cimitero ad Induno Olona invece, questi tagli vengono ribaltati nel disegno del prospetto per scandire il ritmo e misurare il tempo utilizzando la luce. I due elementi, limite e basamento, in questo caso hanno il compito di scandire il tempo sia nel rapporto con la preesistenza che con la morfologia. Una scansione che lavora in sezione, mediando quote e legando lo spazio in un percorso di transizione tra materiale e immateriale.
Una analoga strategia progettuale atta a coniugare preesistenza e ampliamento, compare nel progetto del Cimitero di Bagnolo Mella (2009) dove si avvia un dialogo tra la dimensione fisica e spirituale dell’impianto cimiteriale esistente, introducendo il tema dell’acqua. In questo caso il passaggio dalla scala geografica è mediato dalla dimensione e dal ritmo della maglia poderale. Qui il legame visivo con il contesto è riassunto in un paesaggio interiore che, per mezzo della transizione, accompagnata e segnalata dall’acqua, costruisce un progressivo disassamento visivo rispetto all’alto volume dell’atrio. Ne consegue che la relazione diretta con l’esterno è offerta da uno sguardo alto, rivolto al cielo, che diventa un ulteriore prospetto. La pianta a sua volta esprime un impianto centrale con un transetto disassato rispetto alle relazioni tra i due bracci e lo spazio della corte mira a ricondurre il tutto a una assialità trasversale e dilatata. Ritorna in maniera inequivocabile un legame con il Razionalismo milanese21, ma anche il riferimento alle proprie esperienze maturate indagando l’architettura spagnola22.
Quest’ultimo riferimento è riconoscibile in molta della produzione architettonica di Botticini, sia per linguaggio che per principi spaziali e scelte compositive. Ne emerge una vocazione dell’architetto a sondare più che a esplicitare “…con progetti la dimostrazione di una volontà teorica, tesa a seguire puntigliosamente il ‘farsi’ dei progetti stessi sottoponendoli al riscontro metodologico”23. Sulla questione del metodo e della ricerca teorica, è lo stesso Botticini ad interrogarsi sul nesso che stabilisce la “ricerca di fondamenti del fare progettuale”24 a partire dall’opera di Mansilla+Tuñón per introiettarla nel suo percorso. Sempre in questa riflessione, il rimando al suo background è chiaro ed esplicito, scevro dal riferimento geografico, sintattico nel legame sostanziale, aperto alla sua reinterpretazione nel “principio correlativo”25 quale strumento di esplorazione dello spazio e delle sue deformazioni. Questo principio è proiettato nelle esperienze progettuali sperimentali in cui le relazioni tra la memoria, la geografia, la tecnica e lo spazio servono a stabilire dei rapporti di soglia e di transizione.
In sintesi, il “codice topologico”, inteso come attitudine del progetto ad assimilare segni del paesaggio per contribuire alla sua descrizione, restituisce una sperimentazione continua sul metodo e sulla sua verifica. Si tratta sicuramente di una sperimentazione progettuale fatta per sondaggi e condotta a più livelli, da quello teorico a quello tecnico, e in cui “cercare” domande pertinenti sul ruolo dell’architettura nella trasformazione di paesaggi, città, spazi e identità. Sono quesiti atti a costruire un insieme semantico ascrivibile a un “codice topologico”, la cui struttura dimensionale acquista corrispondenza e scala solo nel confronto con i luoghi e i temi del progetto. Le risposte alle domande cercate sono da ritrovarsi in una persistenza di elementi e forme semplici, che nel confronto con i luoghi si articolano in un dialogo e in uno scambio, in cui il lessico interpreta e misura di volta in volta un luogo, un tema, le architetture e gli uomini che le abitano.
Note
Bibliografia
Sitografia
Didascalia immagine
Entervista n°: