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Camillo Botticini. Della misura e del controllo

Manuela Raitano

Camillo Botticini. Della misura e del controllo

Abstract 

L’opera di Camillo Botticini si colloca, in linea genealogica nel panorama dell’architettura, in quel professionismo colto che, dal secondo dopoguerra, caratterizza parte della produzione architettonica autoriale italiana. In particolar modo, attraverso le sue architetture, l’architetto bresciano dimostra una grande capacità di controllo nell’affrontare i temi che gli si propongono, e un particolare senso della misura nel gesto espressivo. Trattasi di caratteri verificabili nelle sue architetture soprattutto attraverso il riconoscimento di due figure ricorrenti nella sua produzione: la cornice e il recinto.

Keywords 

misura, controllo, figure, cornice, recinto

Due sono gli attributi che meglio definiscono le qualità dell’opera complessiva di Camillo Botticini: misura e controllo. Queste qualità trovano terreno fertile per svilupparsi in un preciso contesto di provenienza, la provincia bresciana, in cui l’architetto è messo in grado di instaurare, nel corso degli anni, legami professionali stabili con una committenza – più spesso privata – ma con significative eccezioni anche nel pubblico; una committenza che non esitiamo a definire di “buon livello”, qualunque cosa questa espressione possa rappresentare agli occhi di chi legge: non solo quindi le potenzialità di spesa, ma anche la predisposizione culturale di un certo ambiente produttivo lombardo, assicurano nel tempo un “pacchetto” di commesse che Botticini sa svolgere con elegante naturalezza, senza concedersi disequilibri programmatici o formali, ma dimostrando grande capacità di controllo, appropriatezza nello svolgimento dei temi, misura nel gesto espressivo, aderenza alle aspettative del cliente, rispetto di vincoli di budget e di programma. Per questa via l’architetto bresciano – sia che lavori in forma autonoma o in sodalizio con Giulia De Appolonia prima e con Matteo Facchinelli poi – sembra collocarsi, in linea genealogica, nella diretta discendenza di quel professionismo colto che caratterizzò l’altissima produzione architettonica italiana del secondo dopoguerra. Produzione che venne poi messa in crisi quando, a partire dalla fine degli anni Settanta, si incrinò quel patto di mutua fiducia e riconoscimento reciproco tra le professioni intellettuali e il corpo sociale, con le esiziali conseguenze che tutti conosciamo e che molti hanno convinto (a torto) che nei nostri contesti un mestiere “normale” non sia, in ultima analisi, possibile.  Al contrario, le architetture di Botticini ci dimostrano che esistono margini neppure troppo stretti per un approccio autoriale alla professione in Italia e che, almeno in una quota parte del nostro paese, questi margini si riescono ad ampliare nel tempo, attraverso un lavoro intelligente che bilancia il talento con l’autocontrollo; virtù, quest’ultima, che si acquisisce a valle di una paziente pratica di cantiere, che garantisca “sicurezza nel mestiere”. Un mestiere che bisogna dunque poter sperimentare, ma dal quale bisogna, al tempo stesso, non lasciarsi sopraffare1. E quindi, dopo aver doverosamente detto del merito delle buone committenze – committenze che gli hanno consentito un rapporto continuativo e intenso con la costruzione – va ora riconosciuto a Botticini il portato autoriale delle sue opere. Architetture chiare e concise che, in un paese dove talvolta la costruzione porta a perdere il controllo dell’opera, mantengono orgogliosamente alta l’asticella della qualità del progetto, senza registrare scarti tra quanto pensato sulla carta e quanto effettivamente realizzato. Architetture pienamente contemporanee ma al tempo stesso misurate, grazie alle quali Botticini ha ottenuto un ampio riscontro critico, non comune per un autore italiano ancora relativamente giovane, ma già premiato con numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. 
Cercheremo dunque ora, nel quadro della sua produzione, di individuare alcuni caratteri ricorrenti nei suoi progetti, nella convinzione che, più che una felice eccezione, il suo “far bene” architettura possa rivelarsi indicativo di una via; e che sia possibile, infine, estrarvi insegnamenti operativi trasmissibili che, oltre a descrivere nel merito la sua ricerca, possano essere di spunto per ricerche altrui, soprattutto per quelle dei più giovani che aprono in questi anni i loro studi di architettura in contesti non dissimili. Ci soffermeremo, quindi, su alcune figure ricorsive, che sembrano essere dei veri e propri temi d’affezione dell’architetto bresciano; temi nei quali meglio si coglie quella capacità di “misura” di cui si parlava in apertura: tra questi, innanzitutto, una precisa postura verso i siti, intesi come luoghi dotati di carattere, colore, storia, qualità, nei quali Botticini dimostra un’attitudine a integrarsi per via antimimetica, come è nella migliore tradizione delle ricerche architettoniche italiane. E poi, alcune modalità compositive che caratterizzano la stesura dei suoi impianti planimetrici, che sembrano girare attorno a differenti declinazioni di figure chiuse o solo parzialmente aperte; figure che hanno il merito di definire una chiara individuazione del “dentro” e del “fuori” e di lavorare sulla qualità degli spazi soglia, attraverso dispositivi quali cornici, varchi o aperture che selezionano porzioni di paesaggi.
Partiamo dunque da quest’ultimo elemento: il dispositivo-cornice, tanto radicato nell’esperienza lombarda moderna a partire dalla lezione di Terragni e Cattaneo; una lezione che a Botticini arriva, però, anche attraverso la conoscenza delle opere degli architetti spagnoli contemporanei, e in particolare attraverso le architetture di Mansilla-Tuñon2, laddove la cornice non sempre è linea bidimensionale ma si ispessisce a guadagnare la terza dimensione, per conformare imbotti espressivi. Come accade nella villa Alps, realizzata a Lumezzane nel 2012, dove Botticini fa perdere all’elemento perimetrale la sua astrattezza stereometrica di matrice moderna per trasfigurarlo, ispessirlo, ripiegarlo ai bordi a definire un profondo imbotte che, seppur rivestito in legno, simula qualità plastiche proprie di materiali non discreti. L’intera villa è quasi del tutto riassumibile in quest’elemento: una grande loggia-balconata che inquadra il paesaggio a valle ed enfatizza la lunga vetrata continua su cui affacciano gli ambienti interni; mentre sul lato opposto, a monte, questa sintetica architettura si mostra con una schiena piuttosto chiusa, con gli affacci arretrati in patii. Per questa via, questa casa unifamiliare si innesta nel paesaggio attraverso una postura discorsiva e di piena sicurezza, senza indulgere in alcuna tentazione di rispecchiamento mimetico, in forza di una corrispondenza ricercata su un piano più profondo, motivato dalle relazioni visive tra l’oggetto architettonico e il luogo che lo accoglie.
Anche in un’altra opera paradigmatica, nella piscina e centro natatorio realizzati a Mompiano nel 2013 – opera cui è dedicato un intero saggio di questo volume – il tema della loggia-cornice produce risultati espressivi, pur se con accenti meno plastici: nella testata in aggetto, infatti, l’arretramento della facciata produce un’ombra profonda che fa risaltare il bordo del volume – la cornice appunto – che quasi sembra un “televisore” a video spento, pronto ad accendersi delle immagini proiettate dall’occhio di chi guarda verso il parco urbano prospiciente. 
La metafora del “televisore” non è qui usata a caso, perché è chiaro che ogni qualvolta parliamo di cornice in fondo parliamo di inquadrature da selezionare, attraverso una tecnica cut and frame tipica delle ricerche che si collocano al polo opposto rispetto a quelle architetture che, nella continuità del rivestimento pellicolare, trovano la loro cifra distintiva. Si tratta di una particolare sensibilità verso un’architettura non isotropa, ancora una volta figlia della migliore tradizione moderna lombarda; tale attitudine si manifesta in modo evidente nel complesso dei lavori di Botticini e si ritrova soprattutto in alcuni suoi progetti di scuole ove, senza indulgere in esibizioni muscolari, l’architetto conforma il tema articolandolo in sotto unità scandite da corti interne, o da corpi parzialmente autonomi, a formare (parafrasando Kahn) un insieme ben composto che ci appare come una “società di stanze a cielo aperto” che selezionano, ciascuna, porzioni di esperienze percettive differenti. Mentre in altre sue architetture scolastiche, come per esempio ad Azzano Mella (2005), il dispositivo-cornice è utilizzato con finalità diverse: non già come macchina “per vedere” ma come macchina “per contenere” il sistema delle scale di sicurezza, inscritte all’interno del perimetro di un grande elemento che percorre il lotto da parte a parte, scavalcando il corpo basso e definendo l’intero impaginato del prospetto. Soluzione, questa, da lui già esplorata nella palestra di Sarezzo (2003), dove una profonda cornice in acciaio cor-ten racchiudeva interamente uno dei prospetti dei lati corti. 
Ora, ribaltando il piano verticale sul piano orizzontale, possiamo riscontrare come all’enfasi verso l’elemento che borda e definisce i prospetti in alzato – cui spesso corrisponde, come abbiamo visto, una particolare sensibilità nella definizione delle inquadrature – faccia riscontro nei progetti di Botticini, quale naturale contraltare, una spiccata propensione a lavorare su un tema compositivo analogo in pianta: il recinto. 
Questa figura planimetrica, da Botticini stesso riconosciuta come “un’ossessione” personale3, ritorna a varie scale nei progetti dell’architetto bresciano e forse gli è cara perché bene esplicita quella capacità di controllo che abbiamo focalizzato in apertura, che egli stesso dichiara essere il fulcro del suo interesse4. Si tratta infatti di una forma archetipica che asseconda la volontà d’ordine del progetto, che si oppone al disordine delle cose non pianificate. La forma-recinto genera piante chiuse o semi-chiuse, produce soglie e articola patii, e viene esplorata sotto molteplici declinazioni: da quella organica della Claw House (2018), fino a quella massimamente introversa del tipo a piastra chiusa, che ritroviamo per esempio nell’interessante progetto di concorso per un complesso scolastico a Vaterstetten in Germania (2014). O che riconosciamo nelle celebri case a patio di Castanedolo, che gli valsero da subito l’attenzione critica nazionale5.
A scala meno minuta, nel centro sportivo progettato insieme a Matteo Facchinelli per la città di Novara, l’architetto disegna una successione di recinti a pianta quadrata o rettangolare; tra questi, quello di dimensioni maggiori contiene uno stadio con gradinate ad angolo retto, memore forse del Galileo Ferraris gregottiano. Qui dunque un unico, chiaro dispositivo planimetrico, ripetuto e scalato, porta ordine e facile individuazione degli ambiti e dei differenti gradienti di fruizione pubblica. Mentre nel progetto di ampliamento dell’ex caserma militare “Serafino Gnutti” a Brescia il tema del recinto diviene occasione di dialogo e intersezione con la preesistenza, di cui l’architetto progetta l’ampliamento attraverso un interessante impianto che replica la corte originale del complesso, conformando un sistema complessivo di cinque corti-recinto, che fungono anche da snodo tra le diverse sezioni funzionali.
Dove tuttavia questa forma-figura raggiunge il massimo delle sue potenzialità espressive è senza dubbio nella lunga serie di progetti per cimiteri che Botticini realizza in un arco temporale prolungato, che dura quasi un quindicennio6. A confronto con questo tema, infatti, l’architetto lavora esaltando al massimo le sue capacità di controllo di mezzi e risorse economiche, ottenendo risultati espressivi mai scontati. 
Qui ovviamente il recinto è spesso già dato, e all’architetto basta esaltarne i caratteri attraverso minime accentuazioni apportate dal progetto; altre volte, invece, è da completare, come accade a Montichiari dove un elemento porticato, non a caso inscritto a sua volta in una forma-cornice, chiude il lato mancante e determina lo spazio-filtro della soglia. Altre volte, infine, il tema del recinto è svolto assecondando l’impianto simmetrico di base, come nell’ampliamento del cimitero di Bagnolo Mella, realizzato in due fasi (2001 e 2009), in cui l’architetto si cimenta felicemente anche con un altro tema canonico della tradizione moderna italiana: il tema del doppio e del minimo slittamento tra figure omologhe in pianta, ma non identiche in alzato.
Questi progetti di cimiteri introducono infine anche la questione del rapporto tra nuovo e preesistenza, rispetto alla quale Botticini sembra prendere una posizione chiara: l’architetto si trova infatti in questi casi, molto spesso, a dover aggiungere “a lato” di impianti preesistenti i suoi nuovi pezzi architettonici, instaurando con essi una continuità mai banale, che si confronta più sul piano degli impianti tipologici che sugli aspetti stilistici o formali. I suoi nuovi impianti si collocano a completamento dimostrandosi sempre rispettosi delle logiche degli impianti originari, che vengono in qualche modo assecondati e portati a compimento, ma mai accondiscendendo a una scontata mimesi di materiali e di dettagli. 
Il cemento lisciato, i rivestimenti posati senza accentuare le fughe e gli intonaci bianchi lisciati, scelti dall’architetto per dare materia e colore a queste sue piccole, esemplari architetture, sono infine il suggello di un’architettura che non teme di denunciare la sua presenza, che non si nasconde dietro la maschera del verde o del materiale locale, che intende la bellezza come parte della sostenibilità dell’opera. 

Note

1 A tal proposito è qui interessante riportare uno stralcio di una breve intervista in cui l’architetto bresciano bene esplicita la centralità della pratica del cantiere. D: Quanto influisce il cantiere sul costruito finale? R: Il cantiere è l’occasione per comprendere il rapporto tra l’astrazione del disegno e la fisicità dello spazio esperito, la concretezza del rapporto tra le componenti materiche. D: Pensi che i vincoli di progetto siano un ostacolo o un valore aggiunto? R: I vincoli sono parte integrante del progetto. In https://startfortalents.net/camillo-botticini-architect/, consultato il 22/09/2021.
2 Botticini è autore di una monografia dedicata ai due architetti spagnoli, dal titolo Mansilla+Tuñon, Testo & Immagine, Milano, 2003. La sua conoscenza della scena contemporanea, e in particolare il suo interesse verso l’architettura spagnola e portoghese, sono anche testimoniate da un successivo lavoro monografico dal titolo Relazioni, progetto e identità dell'architettura contemporanea, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008.
3 Si veda a tal proposito, in bibliografia, un articolo a sua firma, pubblicato nel 2012 su «In_bo», di commento ai suoi progetti per cimiteri e il cui titolo è, appunto, L’ossessione del recinto.
4 Nella stessa intervista citata nella nota di apertura, alla domanda “Qual è il tema con il quale speri di confrontarti in futuro?” l’architetto risponde di non essere interessato a temi particolarmente ampi o complessi, perché per lui conta soprattutto la possibilità di realizzare quanto si progetta con coerenza. “Più i progetti sono complessi – egli afferma – meno l’architetto rischia di essere determinate. Mi interessa la possibilità del controllo”.
5 Progettate nel 2002 con Giorgio Goffi e realizzate nel 2004, le case sono un blocco di cinque alloggi a patio commissionati dall’ALER, rivestiti in materiale ligneo. Il progetto ricevette nel 2007 il Premio Nazionale ANCE-IN/ARCH per la miglior opera giovanile.
6 Nel complesso, ad oggi, Botticini ha progettato ben 10 cimiteri, la maggior parte dei quali realizzati. Il primo, nel 1999, fu il piccolo cimitero comunale di San Zeno sul Naviglio, il più recente è l’ampliamento del cimitero di Induno Olona a Varese, realizzato nel 2012.

 

Bibliografia

Mulazzani Marco, Ampliamento del cimitero comunale. Bagnolo Mella, Brescia, in “Almanacco di Casabella: giovani architetti italiani 2002-2003”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, ottobre 2003, pp. 36-41.
Mulazzani Marco, Azzano Mella, Brescia, scuola elementare, in “Casabella: Almanacco architetti italiani 2006”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, ottobre 2006, pp. 34-41.
Botticini Camillo, L’ossessione del recinto, in “In_bo”, n. 4, giugno 2012, p. 35-48.
Guerrucci Emanuela, Polo natatorio a Mompiano, Brescia, in “L’industria delle costruzioni”, n. 434, 2013, pp. 66-71.
Prestinenza Puglisi Luigi, Patio in the Alps, in “Mark”, n. 55, aprile-maggio 2015, pp.148-155.
Lanini Luca, La geografia dello sguardo. Due ville di Camillo Botticini (ARW), in Boschi Antonello, Lanini Luca, L’architettura della villa moderna, vol. 3, Gli anni dei linguaggi diffusi, Quodlibet Studio, Macerata 2018, pp. 145-153.

 

Didascalia immagine

Da sinistra a destra: Camillo Botticini con ABDA, Villa Alps a Lumezzane, 2012 (foto di Nicolò Galeazzi); Camillo Botticini, Scuola elementare ad Azzano Mella, 2005; Camillo Botticini, Secondo ampliamento del cimitero di Bagnolo Mella, 2009 (foto di Emanuela Casagrande).

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