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La creatività come strumento per la soluzione dei problemi

Domenico Potenza

Sono sostanzialmente due i grandi temi che hanno attraversato la ricerca progettuale di Paolo Desideri nell’intero arco del suo lavoro e di quello di ABDR. Il primo, possiamo riconoscerlo nello studio delle dinamiche della trasformazione metropolitana, ed in particolare nel passaggio dalla città moderna a quella contemporanea (elaborata soprattutto nei primi venti anni di via del Pozzuolo dal 1981 al 2001), con unaforte attenzione alla interfaccia tra architettura e città, quella soglia tra le forme del costruito e lo spazio urbano che l’accoglie. Come scrive Claudia Conforti, “il connubio di architettura e città, disegna la filigrana di tutti i progetti e le opere di ABDR, per i quali la città è matrice dell’edificio, che in essa deve accomodarsi, come la tessera di cartone sagomato si inserisce nel puzzle”1. L’altro tema che accompagna la sua ricerca è più legato al rapporto tra progetto ed engineering e si delinea con maggiore approfondimento a partire dalla stagione delle grandi opere (dal 2001 in poi, dopo l’esito per il concorso del nuovo fabbricato viaggiatori della stazione Tiburtina di Roma) che impegnano lo studio ABDR nella verifica del cantiere. La verifica della concretezza costruttiva, della giustezza come avrebbe detto Carlo Aymonino accostando la ricerca progettuale dello studio alla figura di Ludovico Quaroni, “la giustezza della misura e della attenzione alle proporzioni, della asciutta normalità degli spazi e delle forme, della rinuncia ad ogni facile gestualità, della ricerca paziente, dentro il programma del costruire, in altre parole del mestiere del progettare”2.
Quel mestiere del progettare messo in pratica dallo studio ABDR con grande consapevolezza, soprattutto negli ultimi progetti. La consapevolezza nel dare risposte al progetto in ragione delle sue necessità costruttive. Ricucire la sintesi tra composizione e tecnica, tra progetto e costruzione, appunto; una sintesi fondamentale che l’architettura italiana aveva già contribuito a restituire con i grandi maestri dell’architettura e dell’ingegneria degli anni ’50 da Nervi a Moretti, da Ponti a Morandi. Una sorta di configurazione architettonica delle ragioni costruttive. L’ingegnerizzazione come processo integrato al progetto e non come complemento aggiuntivo. Una soglia tecnica espressa direttamente dalla forma, indagata e governata dalla forma per cui, qualsiasi decisione nel progetto non è mai solo di tipo tecnico, ma anzitutto di tipo morfologico (Beccu). Quella ottimizzazione complessiva di tutte le variabili in gioco mai limitata alle singole componenti ma sempre immaginata nella integrazione creativa delle sue forme.
Tuttavia, proprio a partire dai grandi progetti dello studio ABDR, con particolare riferimento alla loro duplice valenza che coinvolge sia la dimensione dell’edificio che lo spazio urbano (come la stazione Tiburtina, le stazioni della metropolitana B, il complesso residenziale di Giustiniano Imperatore, l’auditorium di Firenze ed il museo archeologico di Raggio Calabria), la ricerca progettuale di Paolo Desideri radicalizza quell’originaria duplice espressione iniziale in una sorta di dimensione unificante, capace di andare al di là delle diverse grandezze di scala per coinvolgere maggiormente i modi d’uso degli strumenti del progetto, la creatività e la forma, che rimangono concretamente gli unici attrezzi a disposizione dell’architetto.
La creatività è qui intesa come indispensabile condizione di passaggio, attraverso la quale dare soluzione ai problemi della complessità del progetto (ad ogni scala) e non di aumentarli, come solitamente accade con la maggiore complessità delle opere; nella convinzione che il vero unico grande modo per affrontare le difficoltà del progetto, sia quello di metterlo in sicurezza attraverso lo strumento della forma. Una forma che non è preordinata al progetto ma si rivela come approdo finale, che trova la propria ragione nell’immaginazione creativa e conduce a sintesi la pluralità delle esigenze e dei bisogni di cui si alimenta il progetto di architettura. Lo sforzo che fa Desideri, è quello di provare ad invertire l’orizzonte creativo e quello più propriamente poetico che muove l’agire del progettista, accettando l’idea che quei due potenti strumenti a disposizione degli architetti, la creatività e la forma, siano gli unici che possano essere concretamente spesi nella direzione del problem solving.
Per fare questo però è necessario accettare fino in fondo e con curiosità la conoscenza dei problemi. Normalmente gli architetti sono infastiditi dalla presenza dei problemi, perché la loro manifestazione a tutte le scale (urbanistica, ambientale, costruttiva, economica e sociale) crea forti disagi ai progettisti, i quali sono abituati alla espressione libera del progetto, quella che produce autoreferenzialità e che caratterizza gran parte della più acclamata recente produzione architettonica. In realtà riuscire a piegare la creatività significa per prima cosa conoscere la dimensione dei problemi ed accettare di innamorarsene, lasciarsi intrigare, altrimenti fai un altro mestiere.
Credo sia questa l’evoluzione matura della ricerca progettuale di Paolo Desideri, quella di calare il progetto nella sua tensione fenomenica (a tutte le scale), nella quale nessuna variabile in gioco è mai ottimizzata per sé se non in ragione di quell’equilibrio complessivo capace di esprimersi attraverso la creatività delle forme dell’architettura. “Progetto e costruzione quindi, non sono momenti distinti di un processo che si attiva per parti, ma la dimensione dilatata di un feedback circolare nel quale pensiero ed azione, idea e realizzazione, poesia e tecnica, sono sempre presenti”3.

Note

1 C. Conforti, in ABDR temi, opere e progetti, Electa, Milano 2015, p.12.
2 C. Aymonino, in Progetti. Maria Laura Arlotti, Michele Beccu, Paolo Desideri, Filippo Raimondo, a cura di A. Criconia e G. Mondaini, Sala editore, Pescara 1994, p. 12.
3 D. Potenza, in ABDR: Technology and Beyond. La creatività come risorsa, di F. Angelucci e D. Potenza, ed. Franco Angeli, Milano 2012, p.18.

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